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Niente lavoro meglio mammà

A Belluno non si trovano baristi, a Bergamo vigilantes e a Verona camerieri. Rimagono «orfani» 250mila posti

Niente lavoro meglio mammà

In Italia quattro giovani su cinque vivono ancora in casa con i genitori, l'80% di chi ha fra i 15 e i 29 anni. Una fotografia impietosa, scattata dall'Ocse, che conferma come le giovani generazioni italiane siano mammone e troppo attaccate alla famiglia d'origine. Una differenza enorme rispetto agli standard europei: in Paesi come Danimarca o Svezia la quota dei ragazzi che abitano sotto il tetto di mamma e papà scende della metà. Colpa della disoccupazione giovanile, che è arrivata a toccare il 37%, ma anche di un atteggiamento un po' snobistico nei confronti di alcuni mestieri. La cronaca degli ultimi mesi infatti racconta di innumerevoli annunci di lavoro ignorati dai ragazzi.

L'ultimo episodio è avvenuto a Belluno. Molti locali hanno affisso i cartelli con la scritta «cercasi personale». Ma nessuno ha risposto. E durante l'estate bar e pasticcerie del centro hanno rischiato di dover ridurre gli orari di apertura perché sotto organico. Eppure venivano offerti contratti regolari, da 1.200 euro al mese più gli straordinari, e tutte le tutele. Da queste parti dicono che ormai «è difficile trovare gente che abbia voglia di lavorare». Soprattutto i giovani: «Non sono disposti a un impegno sei giorni su sette, nonostante la paga sia interessante».

MA LA NOTTE NO

Solo un caso? A quanto pare no, visto che sono numerosi gli imprenditori in difficoltà. Pubblicano annunci per trovare artigiani, operai, trasportatori, pasticceri, baristi. Ma sono davvero in pochissimi a rispondere. Perché è innegabile che ci siano mestieri guardati con snobismo anche se possono garantire un futuro. Questo spiega, almeno in parte, il calo di interesse verso l'artigianato. Ma anche verso i lavori più duri, come quelli svolti per turni, in piedi o di notte. A Bergamo, per esempio, c'è un colosso nel settore della vigilanza che fa fatica a reperire candidati. Nonostante proprio nel «reclutamento» investa moltissimo, con 144 assunzioni l'anno. La storia si ripete a Verona, dove il proprietario di una catena di 21 ristoranti giapponesi non riesce a trovare più camerieri, direttori e vicedirettori di sala per le prossime aperture. Eppure offre assunzione, stipendio pieno fin dal primo giorno, 14 mensilità e contributi. Insomma, quello che dovrebbe essere un sogno per chi passa il tempo a inviare curricula.

«I giovani italiani preferiscono andare a studiare all'estero, invece di cominciare un percorso di studi che potrebbe avvicinarli a settori della manifattura che sono ancora essenziali per la nostra economia dice Marina Puricelli, docente della Bocconi e autrice del libro Futuro nelle mani. Scelgono il liceo e la laurea di stampo internazionale a scapito degli istituti tecnici e facoltà in grado di avvicinarli davvero al mondo del lavoro. Così viene di fatto ignorato quello che è diventato il modello vincente: l'artigiano laureato». Ma esiste anche un problema culturale: «Molti genitori che nella manifattura e nell'artigianato hanno trovato il benessere, per i propri figli aspirano a lavori intellettuali, con un forte orientamento internazionale. Come se fosse trendy avere un ragazzo laureato in una materia della quale la mamma e il papà non sanno nulla».

I mestieri in grado di assorbire, almeno in parte, la forza lavoro giovanile sono davvero tanti. Un fornaio, per esempio, ogni mese può mettere in tasca fra 1.500 e duemila euro al mese. Eppure pochissimi hanno voglia di farlo. Lo stesso discorso vale per i meccanici: sono richiestissimi dal mercato, ma quasi irreperibili. E poi ci sono gli idraulici, gli elettricisti, i falegnami, gli infermieri, le guardie giurate, i tecnici informatici in questo caso la carenza viene definita «gravissima» -, gli ausiliari socio-assistenziali, i commessi, gli addetti alla logistica, i venditori, gli addetti alle consegne, i trasportatori, i pizzaioli, gli aiuto cuochi e gli estetisti. E la lista potrebbe allungarsi all'infinito. Basti pensare che in questo momento in Italia ci sono fra 120mila e 250mila posti di lavoro «orfani».

EPPURE (QUALCOSA) SI MUOVE

Sono definiti così perché vengono offerti dalle aziende in assenza di domanda. «A questa cifra bisogna aggiungere migliaia di altri posti accettati e poi rifiutati spiega Dario Nicoli, docente di Sociologia economica e dell'organizzazione alla Cattolica di Milano -. Ormai siamo di fronte a una crisi nella vocazione di impresa. Ci sono realtà che falliscono perché, scomparso il fondatore, nessuno ha voglia di proseguire, né i figli né i dipendenti». Ma la colpa non è solo delle aspettative dei giovani. «Se le aziende non riescono a trovare dipendenti specializzati è anche perché nel nostro Paese mancano istituzioni in grado di formare i giovani, offrendo loro competenze specifiche e renderli così appetibili alle imprese».

Resta però un grosso problema culturale. «Emblematica è la situazione degli avvocati conclude l'esperto -. Un quarto di loro guadagna meno di 400 euro al mese, eppure le facoltà di Giurisprudenza sono sempre piene». Qualcosa però lentamente sta cambiando. E qualche giovane più entusiasta sta riscoprendo l'artigianato. Con una laurea in tasca e tante buone idee. Basti pensare al boom delle coltivazioni con serre idroponiche, della produzione di vino biodinamico e della lenta ma progressiva riscoperta di sartoria, maglieria, camiceria e tessitura. Così come del comparto arredamento e dei servizi alla persona.

La tradizione che torna attuale sposandosi con la modernità.

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