Referendum indipendenza in Catalogna

Madrid, schiaffo alla Catalogna Arresti contro l'indipendenza

Alta tensione per il referendum del 1° ottobre: in manette 13 funzionari, blitz nella sede dell'autorità di Barcellona

Madrid, schiaffo alla Catalogna Arresti contro l'indipendenza

A dieci giorni dal referendum per l'indipendenza della Catalogna, dichiarato «insostenibile» dalla Corte Costituzionale e «illegale» dall'esecutivo del premier Popolare Mariano Rajoy, Madrid mostra i muscoli ai disobbedienti politici catalani, scatenando la Guardia Civil negli uffici della Generalitat e portando la tensione alle stelle.

Il blitz per fermare la consultazione non autorizzata del primo ottobre è scattato ieri alle prime luci dell'alba, quando la polizia nazionale ha perquisito a Barcellona diversi edifici del Governo autonomo, sequestrando documenti, registri e volantini. Ordinato anche l'arresto di tredici alti funzionari catalani. Tra gli amministratori finiti in manette, spicca il nome di Josep Maria Jové, incaricato per l'organizzazione del voto e braccio destro del granitico vicepresidente catalano, Oriol Junqueras, anche consigliere dell'Economia e della Pubblica amministrazione e presidente di Erc (Esquerra Republicana de Catalunya), la sinistra nazionalista catalana: Junqueras dal 7 settembre era già indagato per «prevaricazione» e «disobbedienza». Sono stati fermati anche il direttore del dipartimento di Attenzione ai cittadini, Jordi Graell e il presidente del Centro delle Telecomunicazioni, Jordi Puignero.

A caccia di prove per denunciare la volontà della Catalogna di disobbedire e di procedere al voto, gli agenti hanno fatto irruzione nei dipartimenti di Economia, Esteri, Lavoro, Affari sociali, Welfare, Telecomunicazioni, Fisco e nella sede del Governo di Barcellona. Inoltre, il ministero degli Interni di Madrid ha comunicato che la Guardia Civil ha sequestrato 10 milioni di schede per votare, durante una perquisizione in un magazzino a Bigues i Riells (Barcellona).

Una prova di forza che ha buttato giù dal letto alle 6 del mattino Puigdemont, il testardo presidente disposto a non arretrare di un millimetro sul referendum. Convocato in forma straordinaria il Consiglio, ha dichiarato a muso duro: «Con questa azione, non autorizzata, il Governo (di Madrid, ndr) ha oltrepassato la linea rossa che lo separava dall'essere un regime totalitario, diventando così una vergogna per la democrazia. Di fatto ha sospeso la nostra autonomia». Ha poi aggiunto: «È un'aggressione coordinata e autoritaria, ma non ci fermeranno: benché minacciati, il primo ottobre usciremo di casa con la nostra scheda elettorale e la useremo». Junqueras ha tuonato su Twitter, «Stanno attaccando le istituzioni di questo Paese, quindi attaccano i cittadini. Non lo permetteremo!».

Per tutta la giornata di ieri, e fino a sera, le strade della capitale catalana sono state invase in vari punti della città dalle rumorose e animate concentrazioni e manifestazioni degli indipendentisti all'urlo di «verguenza!», vergogna, «indipendencia!», «libertad!», e «democracia!». Davanti alla sede del dicastero dell'Economia e a plaza Catalunya, a pochi passi dalla Rambla de Canaletes, luogo degli attentati islamisti dello scorso 17 agosto, i Mossos d'Esquadra (i poliziotti catalani che simpatizzano per la secessione), hanno dovuto usare il manganello per allontanare i dimostranti. La tensione in tutta Barcellona e provincia è rimasta palpabile fino a sera, senza, però, registrare arresti e feriti.

Da Madrid il premier Rajoy ha ribadito che: «La sfida della Catalogna non sta rispettando la legge e logicamente lo Stato deve reagire.

Erano stati avvertiti, sapevano che il referendum non si può fare perché contrario alla sovranità nazionale e al diritto di tutti gli spagnoli a decidere per il loro Paese».

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