Cronache

"Quel giudice ha offeso i palermitani, la lingua italiana e tutti gli avvocati"

Il presidente dei Giovani avvocati, Michele Vaira, interviene sulla frase razzista del giudice di Trento: "Invece di chiedere scusa offende un professionista e pure la lingua italiana"

"Quel giudice ha offeso i palermitani, la lingua italiana e tutti gli avvocati"

Non si è ancora spenta l'eco delle polemiche dopo che un giudice di Trento, Carlo Ancona, durante un’udienza ha intimato a un avvocato palermitano di tacere, sottolineando di essere “in un posto civile, non a Palermo”. Ne abbiamo parlato con Michele Vaira, presidente dell'Aiga (Associazione italiana giovani avvocati).

Che ne pensa di quella frase?

Una frase indecorosa e razzista, che già dovrebbe far seriamente dubitare sull’idoneità di tale magistrato a indossare la toga. Ma c’è qualcosa di peggio di questa frase.

A cosa si riferisce?

La spiegazione data dal magistrato alla stampa il giorno dopo. Ammette di aver detto quella frase, ma senza l’intento di offendere la città di Palermo o i palermitani. Perché, solitamente, secondo tale bizzarra teoria, quando si afferma che un luogo è incivile, non lo si fa per offendere. Un po’ come se gli si dicesse, “signor Giudice, non per offenderla, ma lei è un razzista”. Una difesa, quindi, basata sull’incapacità di intendere le proprie stesse parole.

La toppa peggio del buco...

Invece di chiedere scusa, e chiuderla lì, stendendo un velo pietoso, aggiunge che il suo intento era quello di zittire un avvocato “scorretto”. Offendendo, quindi, il professionista palermitano, nell’esercizio della sua funzione difensiva. Offendendo, inoltre, la lingua italiana, aggiungendo l’espressione, evidentemente tratta dalla lingua asburgica: “Mi ha fatto uscire questa frase”. Il che dovrebbe far dubitare anche dello spessore culturale del giudice. Un dubbio che a quanto pare non sfiora nessuno.

E i vostri colleghi di Trento come l'hanno presa?

Il comunicato del presidente dell’Ordine Forense di Trento, senza far alcun riferimento alla frase e al suo contenuto chiaramente razzista, ha degradato la gravissima offesa ad “episodio infelice”, “esito di tensioni che a volte le udienze penali possono generare”. Chiosando, infine, con l’attestato di stima nei confronti del magistrato, “preparato e dedito al lavoro”. Un comunicato che appare redatto dalla locale Sezione dell’Anm.

Ma dato che al peggio non c’è mai fine, e per sgombrare il campo da ogni equivoco, interviene il comunicato della Camera Penale di Trento, che da par sua opera “affinché i valori dell’avvocatura siano garantiti” (cito dal sito internet della Camera penale). Degradando dall’aggettivo “infelice” speso dal COA (Consiglio dell'Ordine degli avvocati) di Trento, ritenendolo forse troppo duro nei confronti del proprio eroe, la Camera Penale giudica tale condotta “non accettabile”, ulteriormente specificando che deve pur sempre “essere contestualizzata nella dinamica processuale”.

E per custodire le proprie tradizioni “asburgiche”, non manca di sottolineare, ancora una volta, lo spessore culturale e giuridico del magistrato, e la sua “equidistanza tra accusa e difesa” (quasi fosse un valore aggiunto del magistrato), da cui riescono a dedurre l’assenza di qualsivoglia intento discriminatorio. Tutto questo, sia chiaro, “senza voler sminuire l’episodio”. Ci mancherebbe.

Cosa accadrebbe se un avvocato di Trento si rivolgesse al magistrato invitandolo a “tornare in “Terronia”?

Sono certo che l’Anm definirebbe una simile condotta quale “spiacevole episodio, da contestualizzare nella dinamica processuale”, evidenziando al contempo “l’impeccabile reputazione e professionalità dell’avvocato”.

Ma la reazione degli avvocati non è stata troppo molle?

Sinceramente pensavo, come presidente dei Giovani Avvocati Italiani, di dover assistere a una durissima presa di posizione dell’Avvocatura senior, che dovrebbe avere le spalle più larghe di quelle dei giovani, che subiscono spesso trattamenti ben più mortificanti di quello inflitto a uno stimato professionista, tra l’altro figlio di un autorevole magistrato.

Invece, di fronte a questa generalizzata genuflessione (mascherata da “senso di responsabilità” e “rispetto istituzionale”), penso che l’unica speranza di restituire un minimo di dignità alla nostra categoria e ai valori che – spesso solo a parole – dichiariamo di tutelare, derivi proprio dai giovani.

Pensa che i giovani avvocati siano diversi dai colleghi più anziani?

Spero che l’ardore giovanile che ci consente di esprimere il nostro pensiero senza essere condizionati da altri poteri, e soprattutto dalla convenienza personale, possa restare con noi fino all’ultimo dei nostri giorni.

Magari con la toga addosso, a proteggerci e ricordarci ciò che siamo, o che dovremmo essere.


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