Controcultura

Bergomi e la mitologia del lessico familiare

Le sue sculture con protagonista la moglie uniscono trasporto affettivo e bellezza classica

Bergomi e la mitologia del lessico familiare

Tutta la produzione di Giuseppe Bergomi, così come egli stesso intende nel titolo di questa mostra, «Alma e Beppe», è espressione di un lessico familiare. E non certo per ragioni preterintenzionali, come poteva sembrare ai suoi esordi, per comodità nella rappresentazione della figura femminile attraverso vicini modelli familiari (all'epoca quasi esclusivamente la moglie); ma per una precisa volontà di delimitare un'area di affetti chiusa, che partiva dall'amatissima moglie Alma per arrivare alle figlie. Belle e sensuali, nei limiti in cui può intenderle l'occhio paterno, fino ai confini di una idealizzazione della realtà o del realismo rappresentativo.

È questa invero la cifra di Bergomi dopo i primi equivoci di una sua consonanza con la pittura della realtà di area bresciana. Nulla dell'agitazione e del tormento di Romanino, nulla dell'aristocratica eleganza del Savoldo; molto della visione fisica, concreta ma sublimata nell'ideale di Moretto da Brescia. È forse questo l'artista più amato da Bergomi, e le sue sculture, pur tradotte nel «lessico familiare», sembrano variazioni di quella umanità semplice e severa che il Moretto esprime nella sua Madonna di Paitone: apparizione e realtà insieme. Moretto umanizza il miracolo calandolo nella realtà quotidiana, e non perdendone l'aura.

È lo stesso bilanciamento che vediamo nelle sculture di Bergomi, la cui varietà non si esaurisce ma si concentra, con un delicatissimo trasporto affettivo, nella sfera familiare. Ma da quelle precise modelle, così riconoscibili, esce un'idea alta e classica della bellezza femminile che trasmette gli stessi valori morali della esperienza umana così carica di affetti, così densa, così intensa, di Bergomi. Ogni variazione formale, ogni invenzione si misura con la condizione sentimentale ed emotiva di una famiglia amata, cui si aggiunge occasionalmente lo stesso artista, in non rari autoritratti.

Bergomi ci parla questo lessico familiare, con commossa necessità, come una condizione della sua stessa vita che si rivela in arte. Ma in questa occasione va oltre e, insieme alle proprie invenzioni, presenta anche quelle della moglie Alma, soggetto di tante sculture, certo il più frequente.

La donna amata, di cui io vidi, in tempi ormai lontani, la composta semplice immagine seduta del 1983, da molti anni coltiva la pittura con tagli eleganti e misurati, tutti attinenti alla sfera domestica, e tutti cifrati come spartiti musicali. C'è un rigore assoluto, una realtà quintessenziata, non idealizzata, in un processo parallelo non perfettamente coincidente con quello del marito. Gli oggetti quotidiani, sempre nello spazio fisico e psicologico della famiglia, hanno una realtà mentale, una misura eletta, in concorrenza con la pittura astratta, con oggetti pretestuosi. Lo si intende bene di fronte a Busta a righe azzurre con rametto del 2010, o al Vassoio con quattro tazze. Nelle immagini di Alma c'è la ricerca arcana degli archetipi delle cose. Si vede bene anche in opere meno immediate, ma tanto intense e vibranti come Paesaggio con murao, del 2000. La pittura di Alma è nitida, vitrea, essenziale e autonoma dalla ricerca del marito, i suoi riferimenti lontani, ma puntualissimi, sono nei dipinti di «Valori plastici», in particolare di Edita Broglio. Più distaccata, più fredda dell'opera del marito, la cui dimensione è comunque un calore, anche se di fiamma lontana, Alma allega agli affetti familiari gli oggetti familiari, anche inanimati ma con la forza formale di archetipi integri e resistenti come minerali. A Giuseppe la tenerezza, ad Alma la durezza.

A salvaguardia di inalienabili valori familiari.

Forse una mitologia.

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