Economia

Quattro anni a Geronzi per il crac della Cirio

Tre sono già scontati dall'indulto. Nuovo processo per l'ex patron Cragnotti

Cesare Geronzi e Matteo Arpe quando erano ai vertici  di Capitalia
Cesare Geronzi e Matteo Arpe quando erano ai vertici di Capitalia

Sono passati più di quattordici anni dal crac della Cirio, il marchio storico della pummarola italiana: e il processo su quel disastro ancora non è finito. Ieri la Cassazione, cui il fascicolo approda dopo un iter lungo e tormentato, annulla una parte della condanna che era stata inflitta all'uomo simbolo di quel crac, Sergio Cragnotti, l'ex presidente della Lazio, che dovrà affrontare un nuovo giudizio di appello. Diventa invece definitiva la condanna del banchiere che più di ogni altro segnò con il suo potere quella stagione: Cesare Geronzi, presidente di Banca di Roma e poi di Capitalia, accusato di avere avuto un ruolo decisivo nell'accompagnare ed aggravare il dissesto della Cirio di Cragnotti.

La Cassazione conferma quindi la condanna a quattro anni di carcere inflitta nel 2015 a Geronzi dalla Corte d'appello di Roma per concorso in bancarotta fraudolenta. Per l'ottantaduenne banchiere romano per ora non c'è la prospettiva del carcere: tre anni della pena sono cancellati dall'indulto, per l'anno residuo può contare sull'affidamento ai servizi sociali. Ma su Geronzi pende un'altra condanna, i quattro anni e mezzo inflitti per il crac Parmalat dalla Corte d'appello di Bologna, già approdati in Cassazione e confermati, anche se non c'è il deposito dell'ordinanza. Se il totale diventa cinque anni e mezzo, non si può puntare ai servizi sociali e l'unica speranza sono i «domiciliari» per motivi di salute.

I casi Cirio e Parmalat nella vicenda Geronzi sono d'altronde strettamente intrecciati, perché la Banca di Roma era assai esposta verso entrambi i gruppi: e infatti uno dei capi d'accusa per cui Geronzi è stato condannato ieri riguarda la sparizione dalle casse di Cirio dei 64 miliardi di lire pagati dall'azienda di Calisto Tanzi per acquisirne il settore latte. Un'accusa pesante per Geronzi, che avrebbe costretto Cragnotti a utilizzare poi parte dei soldi per ripianare i debiti verso Banca di Roma della Bombril, la sua holding lussemburghese.

Ma ancora più pesante è il secondo capo d'accusa per cui Geronzi è stato condannato, l'avere officiato la collocazione sul mercato dei titoli Cirio nel 2001 «nonostante lo stato di dissesto dei soggetti emittenti e garanti, da loro intenzionalmente dissimulato verso l'esterno». Per questo Geronzi insieme agli altri condannati dovrà risarcire i danni subiti dai 35mila risparmiatori che videro i loro soldi inghiottiti dai bond di Cirio, piazzati sul mercato quando lo stato di dissesto era ormai irreversibile.

Per Sergio Cragnotti, condannato in appello a otto anni e otto mesi di carcere, la Cassazione ha accolto uno dei motivi di ricorso avanzati dai suoi difensori, Luigi Panella e Massimo Krogh, annullando la condanna per il più grave dei capi d'accusa, l'avere prima svuotato e poi fatto comprare a caro prezzo da Cirio la Bombril brasiliana, filiale locale della Cragnotti & partners.

Per questa accusa dovrà celebrarsi un nuovo processo d'appello, al cui termine la pena inflitta all'imprenditore potrebbe venire rivista al ribasso. Basterà a evitargli di rischiare il carcere?

Commenti