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La sinistra chic che grida al "fascistellum" sogna di restare senza una legge elettorale

Mauro e Travaglio scatenati sull'accordo. Ma col Consultellum sarebbe il caos

La sinistra chic che grida al "fascistellum" sogna di restare senza una legge elettorale

Roma Fascistellum, Bordellum, Merdellum. No, la fantasia stavolta non è un granché e il senso dell'umorismo poi, quello è un'altra cosa. Gli attacchi alla riforma elettorale, che arrivano copiosi dal club degli indignati da salotto, non fanno ridere e forse non fanno nemmeno notizia, in compenso fanno abbastanza rumore. Passi per i grillini, gli anti-sistema sempre alla ricerca dell'iperbole, che denunciano un colpo di Stato e scendono in piazza a fischiare insieme al generale Pappalardo, i no-vax e i neoborbonici. Passi pure per l'irriverente Fatto, che tra i fascisti del Fascistellum inserisce perfino Sergio Mattarella. Ma quando a protestare per l'«ambito pesantemente costretto della discussione» ci si mette pure Giorgio Napolitano, che per dieci anni quand'era al Colle spiegava che le riforme, comprese quella del voto, sono «necessarie e urgenti», allora significa che tutti i soliti parametri sono saltati.

È vero, l'anomalia esiste, la legge elettorale è la più politica delle leggi e farla passare così, con la fiducia, è una forzatura. Certo, l'accordo raggiunto non è perfetto, anzi ha parecchi difetti, il miscuglio di proporzionale e maggioritario che è uscito fuori non è una garanzia assoluta di governabilità. Però era l'unico compromesso possibile e come si dice in questi casi e, come sostengono i tre quarti delle forze parlamentari, è meglio poco che niente.

Eppure c'è chi preferisce il nulla al qualcosa. «La decisione di porre la fiducia - scrive su Repubblica Ezio Mauro - è un colpo di mano gravissimo per la materia delicata di cui tratta. È una vicenda emblematica dell'impotenza dell'intero sistema politico, e cioè l'incapacità del Parlamento di trovare un'intesa alla luce del sole che doti il Paese di una regola elettorale non basata su furbizie contingenti e vantaggi di parte, ma su un meccanismo in grado di restituire ai cittadini la piena potestà di scegliere i loro rappresentanti». Chissà, forse Mauro preferiva che la legislatura finisse senza avere varato una nuova legge elettorale.

Marco Travaglio invece evoca la legge Acerbo del 1923, che assicurò la maggioranza a Benito Mussolini. «Un governo illegittimo - argomenta - sostenuto da una maggioranza fittizia figlia di una legge elettorale incostituzionale e spalleggiato da un capo dello Stato eletto da quella falsa maggioranza e già firmatario di una legge elettorale incostituzionale, impone la fiducia a se stesso su una nuova legge incostituzionale senza averne il potere. È inorridito persino Napolitano, il che è tutto dire».

Anche a Travaglio evidentemente, piuttosto che mandare il Paese alle urne con il Rosatellum piaceva di più spedircelo con le macerie esistenti, cioè con i due moncherini del Porcellum e dell'Italicum, lasciati in vita dalla Corte Costituzionale. Due sistemi diversi, quasi opposti, che oltre alla confusione, avrebbero partorito con assoluta certezza un Parlamento senza maggioranza. Nessun vincitore, come nel 2013. Oppure due vincitori diversi, uno alla Camera e uno al Senato. Pierluigi Bersani l'ha già vissuta, passando diverse settimane a bagnomaria: incaricato di mettere in piedi un governo, sottoposto a interrogatorio in streaming dal M5S, alla fine senza numeri e costretto all'abbandono.

Però insiste: «In quattro o cinque vogliono deformare la volontà popolare». Quale?

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