Cultura e Spettacoli

"Per combattere la camorra divento... il boss Zagaria"

L'attore su Raiuno nella serie "Sotto copertura": "Da ragazzo mi sono salvato dalla criminalità"

"Per combattere la camorra divento... il boss Zagaria"

Non minaccia, non punta la pistola, non perde il controllo, non alza nemmeno la voce. Ma fa lo stesso paura. O meglio: la fa proprio per questo. Nella nuova serie della Lux Sotto copertura (quattro puntate su Raiuno, da lunedì) il pluriomicida boss camorrista Michele Zagaria, una volta fra più pericolosi d'Italia, ora dietro le sbarre dopo vent'anni di latitanza, ha i modi pacati ed innocui, lo sguardo addirittura innocente di un Alessandro Preziosi in stato di grazia. Sono passati vent'anni dal popolare debutto dell'attore napoletano in Elisa di Rivombrosa: dopo aver lavorato al cinema coi Taviani ed Ozpetek, in tv per interpretare Sant'Agostino e Don Peppino Diana, e in teatro dov'è stato Amleto, Cyrano, Don Giovanni, Van Gogh, eccolo centrare oggi uno dei ruoli più impegnativi e intriganti - della sua brillante carriera.

Come ha trovato una linea interpretativa opposta a quelle tipiche per questi ruoli, urlate e aggressive?

«Ho pensato ai mafiosi enigmatici e di poche parole di Eduardo De Filippo ne Il sindaco del rione Sanità o del Camorrista di Tornatore; alla strana voce che qui aveva Ben Gazzara nel doppiaggio di Mariano Rigillo. Ci ho pensato al punto di farne la mia ossessione. E una volta che ci sono entrato, non ne sono uscito più».

Qualcuno potrebbe ritenere questo camorrista un napoletano anomalo: chiuso, taciturno, imperscrutabile.

«Il pensiero di un napoletano non è mai vuoto. Ed è sempre seduttivo. Il silenzio a Napoli parla. Esprime ciò che noi attori chiamiamo pausa teatrale».

Ne è risultato un ritratto affascinante quanto repulsivo. Proprio come voleva il produttore Luca Bernabei, preoccupato di quanto il fascino il male in fiction come Gomorra seduca i quindicenni come suo figlio.

«Alla fine il male non paga. Dobbiamo dirlo con chiarezza. E Sotto copertura lo fa, descrivendo attrattiva ma anche degrado e rovina dei criminali. Quand'ero ragazzino a Napoli, al liceo Umberto, li vedevo spadroneggiare, questi capuzzielli: scatenavano risse, rubavano motorini, facevano i ducetti. Solo che poi loro hanno passato metà della vita nascosti sotto terra oppure in carcere. Io invece mi sono salvato. Certo: è inquietante pensare che oggi proprio quei modi, che normalmente si troverebbero solo grotteschi, trasformati in fiction risultino tanto seduttivi da essere entrati a far parte della cultura dell'intrattenimento. Quando hanno arrestato Zagaria, sul suo comodino hanno trovato una copia di Gomorra».

E se le dicessero che a Zagaria stesso (ammesso che possa ammirarla) è piaciuta la sua interpretazione?

«Preferirei non saperlo. Quando interpretai don Peppino Diana avrei tanto voluto sapere se lui, da lassù, apprezzava. Ma in questo caso il mio ego non si spinge fino a tanto».

Ma davanti all'eterno dilemma che - dai tempi della Piovra - contrappone le esigenze dello spettacolo ai rischi dell'influenza negativa, o addirittura dell'emulazione, lei cosa pensa?

«Io penso che sia giusto raccontare il crimine. Ma solo per scongiurarlo. Bisogna che ci mettiamo in testa una cosa: il crimine prospera anche a causa nostra. È nei nostri atti della vita di tutti i giorni, attraverso una somma quotidiana di piccoli gesti sbagliati, come fumare uno spinello o giocare d'azzardo, che il crimine si foraggia e si mantiene saldo. Sant'Agostino diceva: Se nel male metti solo la punta del piede, Il Signore ti perdona. Ma furia di pezzetti, il piede noi rischiamo di mettercelo tutto».

Sotto copertura è stato girato nei luoghi autentici, oggi sotto sequestro, e con gli autentici abitanti di Casal di Principe a fare da comparse. Pare abbiano collaborato molto, quasi per dimostrare il loro rifiuto della cultura camorristica.

«Forse l'intenzione era davvero quella. Io però ero troppo concentrato su me stesso per interpretarla così. Dall'altra non c'è dubbio che sono stati molto ospitali. Di certo girarle nei luoghi veri, con attorno le facce vere, ha trasformato le immagini di questa serie una sorta di polaroid della realtà».

Dai tempi di Elisa di Rivombrosa ad oggi, qual è un primo bilancio della sua carriera?

«Mi piace pensare ad Elisa come ad un successo pop.

Sono stato fortunato ad entrarci; ancora di più ad uscirne perché ho potuto amministrare una popolarità spropositata per raggiungerne una più fondata e duratura».

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