Cronaca locale

Uccise il compagno con una katana Condannata a 12 anni

Il pm ne chiedeva 14: «Quando ha lanciato la spada ha accettato il rischio di uccidere»

Cristina Bassi

Si chiude con una condanna a 12 anni di carcere il primo atto giudiziario dell'omicidio con la katana. Un delitto per cui Valentina Aguzzi, 44 anni, era finita a processo con l'accusa di aver ucciso con una spada giapponese lunga trenta centimetri il compagno 40enne Mauro Sorboli. Ieri la sentenza della corte d'Assise (con presidente Giovanna Ichino) che per la donna ha deciso anche tre anni di libertà vigilata a pena scontata e la sospensione della patria potestà per il periodo del carcere su una figlia minorenne avuta da un precedente matrimonio.

Per la Corte, quello del 26 marzo scorso nell'appartamento di via Filippo Carcano non fu un omicidio volontario con dolo eventuale, come ipotizzava il pm Silvia Arduini chiedendo una condanna a 14 anni. Bensì un omicidio preterintenzionale. Valentina Aguzzi aveva raccontato in aula che quella sera lei e Sorboli hanno litigato. Lei ha afferrato la katana che si trovava sul comodino minacciando di uccidersi. Davanti all'indifferenza prima e agli insulti poi dell'uomo, gli ha lanciato contro l'arma. Lo ha colpito alla coscia mentre era disteso a letto e gli ha reciso l'arteria femorale. Sorboli è morto dissanguato in pochi secondi.

Il pm ha ritenuto plausibile la ricostruzione dell'imputata. Ma nella requisitoria ha anche sottolineato che «era accecata dalla rabbia. Ed era sotto l'effetto di alcol, droghe e benzodiazepine. È come se avesse avuto una pistola, mossa da un'ondata passionale ha lanciato la spada e poteva colpire la vittima alla testa. Ha accettato il rischio di uccidere. È una persona sofferente e fragile, ma non incapace di intendere». Arduini ha comunque concesso che la donna «si è subito pentita, non immaginava che il compagno sarebbe morto. Ha cercato disperatamente di rimediare, di salvarlo tamponando la ferita e chiamando i soccorsi. Quando ha telefonato per chiedere aiuto era in stato di agitazione. Si era accorta che l'uomo stava perdendo moltissimo sangue. Infine ha subito ammesso tutto davanti agli inquirenti, è stata onesta».

Anche per questi motivi la Procura ha chiesto il minimo della pena e la concessione delle attenuanti generiche. I giudici hanno bilanciato queste ultime con l'aggravante dell'uso di armi. L'arma del delitto è comparsa ieri in aula, i giudici hanno voluto analizzarla da vicino e l'hanno portata in camera di consiglio. Alla fine del processo ne è stata disposta la distruzione. L'imputata era presente alla lettura del verdetto.

Il suo difensore, l'avvocato Nicola Saettone, ha annunciato il ricorso in appello dopo il deposito delle motivazioni previsto entro 60 giorni.

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