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Gli Usa fuori dall'Unesco «Pregiudizi su Israele» Esce pure Gerusalemme

Washington abbandona l'organismo in polemica con le scelte «troppo filo palestinesi»

Gli Usa fuori dall'Unesco «Pregiudizi su Israele» Esce pure Gerusalemme

Gerusalemme Sembra che l'Unesco non possa più fare proprio tutto quello che gli pare, assegnare la tomba a Hebron dei patriarchi ebrei Abramo, Isacco e Giacobbe al patrimonio islamico come ha fatto quest'anno in luglio, o dichiarare che Gerusalemme, compreso il muro del Pianto, è tutta quanta araba e appartiene all'islam anch'essa. Magari dovrà organizzarsi diversamente, abbandonare la sua totale arbitrarietà interessata, come quando ha dichiarato Asmara patrimonio dell'umanità o ha fatto un piacere alla Cina esaltando la riserva naturale tibetana di Hoh Xil Qinghai (Achen Gnagyap in tibetano) come se la Cina la preservasse e non la occupasse, fra le proteste dei tibetani. E soprattutto, piantarla con la persecuzione di Israele.

L'organizzazione scientifica e culturale delle Nazioni Unite ha esagerato lasciandosi scappare il suo vecchio tic antimperialista e terzomondista, per il quale era già stata lasciata degli Usa nel 1984 e dall'Inghilterra nel 1985 (poi rientrare di fronte a promesse non mantenute). Ultimamente ha voluto sbalordire il mondo con la sua inverosimile ignoranza nella negazione di ogni radice ebraica in Israele. Ha detto l'ambasciatore all'Onu di Israele Danny Danon che «finalmente qui si paga un prezzo per le vergognose decisioni adottate negli anni passati», e che forse «si è arrivati all'alba di una nuova era in cui prendere ingiustificate e aggressive decisioni antisraeliane ha una conseguenza».

La svolta ha la faccia giovane e decisa della rappresentante dell'amministrazione Trump all'Onu, un viso da indiana, Nikki Haley, che fin dal primo giorno avverti dagli scranni dell'organizzazione: così non si può continuare, non ci stiamo più ad avallare il pregiudizio, le continue ossessive e fantasmagoriche risoluzioni che scippano gli ebrei della loro appartenenza storica alla terra d'Israele, negando per esempio che la tomba dei patriarchi di Hebron sia loro retaggio e facendo lo stesso con la città che per gli ebrei è la vita stessa: Gerusalemme. Un segnale di amicizia non solo culturale, ma anche politica di fronte all'islam estremo, il terrorismo, la palude mediorentale, e adesso, all'orizzonte, la questione dell'accordo con l'Iran da cui Trump intende ritirare gli Usa.

C'è anche la spesa ingente che tutto il mondo paga per l'Unesco, gli Usa le devono 500 milioni, e Rex Tyllerson vuole imporre una politica che «fermi il sangue». L'Unesco è ostile da sempre agli Usa, lo ripaga con scelte controverse, debolucce, spesso interessate. La portavoce del Dipartimento ha annunciato che «la decisione non è stata presa a cuor leggero, ma riflette le preoccupazioni americane su molte mancanze, il bisogno di riforme fondamentali, e il continuo pregiudizio contro Israele». E dopo gli Usa anche Gerusalemme annuncia il suo addio all'organizzazione, sempre per lo stesso motivo. Rappresaglia per l'ingresso della Palestina (formalmente l'Anp di Abu Mazen) nel 2011 ma soprattutto le risoluzioni su Gerusalemme quella che ha suscitato le controversie più profonde. Il premier israeliano Benjamin Netanyhau aveva definito la decisione degli Usa di lasciare come una scelta «coraggiosa ed etica, dato che l'Unesco è diventata un teatro dell'assurdo e perché, invece di preservare la storia, la distorce».

Chiudendo l'ovile dopo la fuga delle pecore, l'Unesco ha evitato la votazione di un remake delle solite dichiarazione che niente è ebraico. Ma ormai è tardi. È in predicato di divenire presidente dell'organizzazione dopo Irina Bokova, che se ne va, un personaggio addirittura in odore di antisemitismo militante e diffusione di libelli, Hamad bin Abdulaziz al Kawari, del Qatar, che nelle votazioni guida con 20 dei 30 voti necessari; al secondo posto appare Audrey Azoulay, francese, come al Kawari ex ministro degli esteri, con 13 voti per ora. Giovedì l'eventuale ballottaggio.

Chiunque vinca, l'Onu è avvertito: il disinvestimento dall'Unesco può diventare disinvestimento dall'Onu.

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