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Il film del weekend: "L'uomo di neve"

Splendide ambientazioni e attori celebri non bastano alla riuscita di un thriller il cui mistero si scioglie come neve al sole prima ancora che la tensione abbia preso forma.

Il film del weekend: "L'uomo di neve"

Quando un film, come il thriller scandinavo "L'uomo di neve" di Tomas Alfredson con protagonista Micheal Fassbender, ha in dotazione un cast eccellente, un grande regista e ambientazioni suggestive, è naturale che generi alte aspettative. Non è certo la prima volta, però, che l'assemblaggio di ingredienti di prima qualità dà luogo a qualcosa di insapore.
Oslo. Alcune donne spariscono nel nulla e il detective Harry Hole (Michael Fassbender), grande intuito e problemi d'alcolismo, si getta nelle indagini aiutato da Katrina (Rebecca Ferguson), una giovane recluta dal passato tormentato. I due scoprono l'esistenza di collegamenti tra i casi attuali e alcuni irrisolti di vent’anni prima. Il sospetto che si tratti di un serial killer è concreto: un po' perché le vittime appartengono tutte alla medesima tipologia di donna, tendenzialmente madri con più relazioni alle spalle, un po' perché sulla scena del crimine viene sempre rinvenuto un pupazzo di neve, come fosse la firma dell'assassino.
"L'uomo di neve" è uno di quei film che arrivano in sala dopo aver avuto una gestazione a dir poco problematica: doveva essere diretto da Martin Scorsese, poi riciclatosi produttore esecutivo, e solo dopo il diniego di un altro paio di cineasti l'incarico è giunto ad Alfredson, regista svedese già apprezzato per "La Talpa". Anche la sceneggiatura ha seguito lo stesso iter, passando attraverso troppe mani e portando a un risultato non particolarmente ispirato: un thriller che avrebbe tutto per essere solido e di grande atmosfera e invece si rivela inaspettatamente mediocre, dal ritmo blando e mai davvero sorprendente.
All'inizio, sedotti dagli splendidi scenari naturali norvegesi, si è portati a ravvisare nel gelo della messa in scena un motivo di fascinazione. Con il passare dei minuti, però, tra pupazzi di neve dal simbolismo gettato alle ortiche e momenti splatter, si va definendo lentamente un puzzle investigativo che, tessera dopo tessera, cristallizza la distanza tra personaggi e spettatore. Il coinvolgimento latita, forse perché la tensione non è mai palpabile essendo fin troppi gli elementi indicatori del killer: superfluo il gioco di rimandi a trame parallele in cui presentare potenziali sospettati per depistare da una troppo facile soluzione.
L'unico vero mistero del film è che fine abbia fatto Alfredson, regista di cui qui non è riconoscibile lo stile narrativo. Appare spaesato anche il nutrito numero di star chiamate a interpretare ruoli poco caratterizzati: Val Kilmer, Charlotte Gainsbourg, J.K. Simmons e Chloë Sevigny regalano interpretazioni piuttosto anonime, così come Fassbender nei panni di un protagonista i cui demoni interiori restano opachi.
Infine, a minare la fluidità e comprensione del racconto, raffreddando la partecipazione del pubblico alla vicenda, c'è un montaggio disordinato e disorientante.


"L'uomo di neve" è una classica pellicola di genere, con location mozzafiato e troppe promesse non mantenute, che alla fine si scioglie, appunto, come neve al sole senza avere mai preso davvero forma.

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