Referendum indipendenza in Catalogna

Ma la partita resta aperta. Il Paese tenuto in scacco dall'incognita elezioni

Regna l'incertezza. I tempi del voto decisivi per far vincere la testa o la pancia della regione

Ma la partita resta aperta. Il Paese tenuto in scacco dall'incognita elezioni

Sembra finita ma purtroppo non lo è. La crisi tra Barcellona e Madrid entra oggi in una nuova fase, e non è detto che in arrivo ci siano momenti più rilassati. Anzi. Ieri, quando Mariano Rajoy ha dato finalmente il via all'articolo 155, il più citato dal giorno del referendum voluto e rubato dai catalani, ha solo chiuso una fase: quella dell'incertezza costituzionale. Il problema era che fare, come muoversi. L'imbarazzo di un governo centrale che per la prima volta nella sua storia democratica, ha dovuto sospendere l'autonomia di una regione e applicare un articolo scritto dai padri costituenti ma che mai era stato mai lontanamente evocato.

Ieri Rajoy, dopo aver convocato una commissione, ha rotto gli indugi. E avviato una nuova fase. Entro una settimana, da quando cioè ci sarà l'approvazione del Senato, al presidente del governo passerà la facoltà di sciogliere il Parlamento della Catalogna, si chiederà al Senato l'autorizzazione di destituire il presidente Carles Puigdemont e il suo governo, il Parlament manterrà la sua funzione rappresentativa ma non potrà proporre il candidato alla Generalitat, né portare avanti iniziative contrarie alla costituzione o al Estatut, i Mossos verranno sottoposti al governo di Madrid e così la tv catalana autonoma. Ma soprattutto verranno convocate nuove elezioni. La Spagna aspetta come sospesa, vivendo malissimo questo maldestro tentativo di separatismo. Monta la rabbia che nelle piazze diventa sempre più pericolosa, si è rotto un tappo. È come se anni di convivenza stessero esplodendo in una insanabile rottura fatta di ripicche e di rivendicazioni. Barcellona, poche ore dopo la dichiarazione di Rajoy è scesa in strada a gridare al golpe, al ritorno al franchismo. In testa i soliti leader estremisti, quelli che cavalcano l'indignazione e la incanalano contro i nemici, lo Stato che soffoca e toglie democrazia, gli uomini della Guardia Civil che obbediscono a Madrid, il re Felipe, l'irremovibile monarca che non ammette disobbedienze che ha parlato di un inaccettabile tentativo di secessione. Ma cosa succederà adesso è difficile dirlo. Intanto lunedì a Barcellona è già annunciata una riunione della giunta dei portavoce dei partiti del parlamento catalano che dovrebbero decidere una nuova riunione. Riunione importante, fondamentale perché dovrebbe annunciare l'indipendenza. Eccolo il gioco dell'oca che fa ripartire dal via. C'è chi parla già di mercoledì. Una rincorsa più dura ancora, un ennesimo schiaffo a Rajoy. Madrid e l'imbarazzo di come sospendere di fatto l'autonomia catalana, come intervenire. Sul banco resta il tema decisivo, dove gli schieramenti politici si stanno veramente battendo: verranno convocate nuove elezioni. Il nodo come sempre è sui tempi. Rajoy ha assicurato entro un massimo di sei mesi. Tenta di prendere tempo, è il suo stile, e soprattutto teme che andare alle urne subito sarebbe controproducente. Un voto di pancia non favorirebbe il suo partito. Meglio far sbollire gli animi, ripensare, aspettare che la tensione si stemperi e che il clima sia meno da anni di piombo. Per Padro Sanchez dei socialisti e Albert Rivera dei Ciudadanos, invece meglio andare subito al voto. Il più presto possibile, entro tre mesi, la fine di gennaio. Usare il voto come una bacchetta magica, cancellare così la frattura, la rabbia e la frustrazione.

Un rewind che al momento non appare certo scontato.

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