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I sospetti dei giudici: bugie su Mafia capitale da Zingaretti e Bubbico

Il governatore e l'ex viceministro rischiano la falsa testimonianza, inviati gli atti ai pm

I sospetti dei giudici: bugie su Mafia capitale da Zingaretti e Bubbico

Due volte nel corso di Mafia Capitale il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti aveva querelato per calunnia, o minacciato di farlo, il ras delle coop Salvatore Buzzi. Ma adesso che il processo si è concluso è lui che rischia di passare i guai per le cose dette, o per quelle non dette, nel corso dello stesso dibattimento, quando i giudici lo hanno chiamato a testimoniare. Zingaretti e altre 26 persone, tra le quali anche l'ex viceministro all'Interno Filippo Bubbico e la responsabile nazionale del Pd al Welfare Micaela Campana.

Per tutti loro si profila l'accusa di falsa testimonianza. Il sospetto che possano aver mentito mentre deponevano davanti alla decima sezione del Tribunale di Roma che stava giudicando tra gli altri l'ex Nar Massimo Carminati e il suo braccio destro Salvatore Buzzi, è proprio dei giudici che hanno deciso di trasmettere i verbali alla Procura affinché verifichi se in udienza siano stati reticenti su alcune circostanze. Nelle motivazioni della sentenza che non ha riconosciuto agli imputati l'aggravante mafiosa, il Tribunale si sofferma sulla posizione di Zingaretti. Chiamato a testimoniare dalla difesa di Buzzi, il governatore del Lazio «ha escluso radicalmente e con indignazione qualunque contatto con chiunque (Gramazio, Venafro, Cionci, Forlenza, Marotta) per la gara Cup, di cui si sarebbe occupato solo a livello di indirizzo politico nella fase di programmazione». Mentre il ras delle coop aveva parlato di quell'appalto da 90 milioni di euro per il centro unico di prenotazione della sanità laziale come di un accordo politico tra maggioranza e opposizione, gestito con l'ex capo di gabinetto del governatore Maurio Venafro. Solo calunnie per Zingaretti, che appunto aveva negato qualsivoglia contatto con gli interessati. Le sue parole, però, non hanno convinto i giudici, che sul punto hanno creduto di più a Buzzi. Innanzitutto alla luce dello «stretto rapporto di amicizia del governatore con Cionci, che peraltro avevano facili occasioni di incontro lavorando vicini». Buzzi invece aveva indicato l'imprenditore Peppe Cionci come «l'uomo di Zingaretti». Il Tribunale ha sottolineato poi «il rapporto di assoluta fiducia» tra Zingaretti e Venafro e ha fatto riferimento alle intercettazioni sui rapporti tra Buzzi, l'imprenditore Salvatore Forlenza e Cionci durante lo svolgimento della gara, nonché «alla accertata figura di politico corrotto di Gramazio». «Tutti elementi - scrivono i giudici - che appaiono supportare la ricostruzione di Buzzi sulla vicenda e che danno adito al sospetto di una testimonianza falsa o reticente di Zingaretti». «Sono sereno, ma scosso e amareggiato», ha commentato il governatore. Le perplessità su Bubbico, invece, nascono dal fatto che l'ex viceministro abbia escluso di aver avuto contatti con Buzzi mentre ci sono molteplici conversazioni che lo riguardano che dimostrano il contrario, «delineando quanto meno il dubbio su un suo possibile coinvolgimento nelle vicende in esame».

Della parlamentare Pd Campana si era già parlato per i numerosi «non ricordo» che avevano caratterizzato la sua deposizione, talmente «inverosimili in quanto apodittici e contrastanti con il contenuto chiaro delle intercettazioni telefoniche», che avevano portato subito il collegio a sospettarla di reticenza e falsità.

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