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"La scienza sogna di andare oltre l'orizzonte. Ma attenti all'incubo Teoria del tutto"

Il fisico: «Chi la insegue si ritiene custode del sapere Invece non ci servono speculazioni: la sfida sono i fatti»

"La scienza sogna di andare oltre l'orizzonte. Ma attenti all'incubo Teoria del tutto"

Giovanni Amelino-Camelia, fisico teorico, ricercatore di gravità quantistica all'Università Federico II di Napoli, ha scritto un saggio, Oltre l'orizzonte (Codice, pagg. 164, euro 16), in cui racconta «le sfide della fisica di frontiera». Per questa ragione: «È bello che ci sia molta curiosità e sia così diffusa la divulgazione scientifica; ma mi sembra che questa sia più celebrativa di quello che abbiamo compreso e meno fedele allo spirito della scienza, che è farci sorprendere dalla natura e superare le nostre convinzioni. È l'inseguire continuamente nuovi momenti di smarrimento e di rottura dell'argine. Più dubbio, che orgoglio di sapere».

C'è troppo orgoglio oggi?

«Mi sembra sovrabbondante l'offerta di descrizioni, pur belle, dei successi della scienza, soprattutto della fisica. Sa, a un fisico come me serve un po' di tigna, per scrivere un libro».

La sua tigna qual è?

«Gli eccessi sull'idea di una teoria del tutto. Se siamo in grado di dedurre tutto, allora non resta altro di sorprendente e di sconvolgente da scoprire. Volevo parlare del sogno di trovare altre cose, Oltre l'orizzonte, appunto».

In questo sogno è centrale il metodo sperimentale.

«È il metodo scientifico inteso classicamente. Sono un fisico teorico; ma il nostro sapere avanza quando vediamo e tocchiamo, non quando speculiamo. Una posizione molto classica, eppure oggi sembra originale».

Viene snobbata?

«Mi invitano ai Festival della scienza e perfino della letteratura. Mi sembra paradossale che, a fronte di una crescita di interesse, il punto di vista classico su che cosa sia la scienza stia perdendo visibilità a favore di aspetti più speculativi, diciamo fuffosi, che raccontano belle storie senza il supporto dei fatti».

Lei vuole solo i fatti?

«Per me ha grande fascino la sfida di avere fatti, più che fantasticare. Per molti sono qualcosa di grigio, ma per me è un grigio bellissimo».

Non si può fantasticare?

«È legittimo fantasticare a partire dai fatti; ma quando quel fantasticare è presentato come fatto scientifico, allora si tradisce lo spirito della scienza».

Qual è questo spirito?

«Il compito della scienza è separare le ipotesi dai fatti. Se parli di teoria del tutto o di multiverso si tratta di teorie tali che, già nelle premesse, non possono essere confrontate con i fatti».

Per alcuni il sogno è trovare la «teoria del tutto», lei invece scrive che sarebbe «un incubo».

«Ah sì, assolutamente. Per me il sale della condizione umana è proprio non sapere, cogliere pezzettini di conoscenza sapendo che c'è sempre molto di più. Quindi se uno mi dicesse: Ho la teoria del tutto, la vuoi?, io risponderei: No, per favore. Altrimenti è finita. Per me questa sfida è il centro della vita».

Che cosa si intende con «tutto»?

«È un concetto ambiguo. Per alcuni significa tutto quello scoperto finora: e in questo senso, di trovare una struttura teorica che metta ordine in ciò che abbiamo compreso della natura, è una ambizione legittima. È quello che proviamo a fare».

E in un altro senso?

«A volte questo concetto, utilizzato per affascinare, tende a riferirsi a un tutto non qualificato, che però facilmente significa proprio tutto, anche oltre il nostro orizzonte attuale. E noi che cosa ne sappiamo?».

Quindi?

«Se mi proponi di adottare una teoria del tutto su basi scientifiche, non posso: posso solo per fede. È bella, quindi dovrà essere giusta è un argomento di fede».

Scienza, religione e filosofia sono complementari?

«Sì. Ci sono alcune domande che sono di competenza esclusiva della scienza - i fatti osservativi - ma la scienza risponde solo a quelle. L'uomo ha sete di fare ipotesi di altra natura, che non diventeranno mai fatti ma, non per questo, ne sono sminuite. Per esempio la domanda qual è il senso dell'universo?».

Perché la teoria del tutto attrae?

«Il paradosso è che questa idea torni in superficie dopo che, per lunghi anni, non siamo più andati oltre l'orizzonte. Come nell'Ottocento: la fisica non era avanzata per molto tempo e c'era una teoria del tutto; con la quale, però, non ci avevano preso nulla».

E oggi?

«Da un secolo non rompiamo gli argini e c'è di nuovo chi farnetica di avere capito tutto».

Nella storia alcune persone sono andate «oltre», come dice lei. Per esempio il suo conterraneo di Nola, Giordano Bruno.

«Bruno è un esempio un po' di confine: era immerso nel sapere medievale, ma è stato un anticipatore straordinario del metodo scientifico, anche se non con la compiutezza di Galilei. Poi ci sono stati Newton, Maxwell, Einstein... Scienziati pronti a essere sorpresi. Che non si ritenevano custodi di tutto il sapere, la casta della teoria del tutto».

Chi sostiene la teoria del tutto?

«Nel libro cito solo il Nobel Steven Weinberg, del quale non si può sminuire il valore scientifico; ma dopo il premio è diventato un grande sostenitore di quello che chiama il sogno di una teoria del tutto».

Se c'è una casta, c'è anche una minoranza?

«Chi continua a porsi domande. Quando iniziò la sua grandiosa rivoluzione scientifica, Einstein era ai margini del mondo accademico, all'Ufficio brevetti di Berna».

Ci sono domande rivoluzionarie?

«La conquista di una domanda è la caratterizzazione più nitida di quello che significa andare oltre l'orizzonte: una scoperta ci rende consapevoli che una domanda, che pensavamo non avesse senso, invece lo ha. Un esempio è il tempo relativo. Einstein pone una domanda che, prima, non avevamo neanche».

Perché dice che nella carriera di Einstein ci sono due fasi molto diverse?

«La prima va dal 1905 al 1919; la seconda dal '19 in poi. Ha solo quarant'anni, ma il vecchio Einstein è un altro scienziato. Il primo usa il metodo scientifico correttamente, il secondo lo usa male».

Che significa?

«Il primo Einstein è curioso, umile; dal '19 comincia a essere prigioniero del suo concetto di bello, con poca attenzione ai fatti osservativi, e stranamente poco produttivo. Perché l'approccio non era fruttuoso».

Per esempio?

«La sua avversione verso la meccanica quantistica era pregiudiziale. Aveva il Big bang sotto gli occhi, e invece ci è arrivato il giovane Friedmann. La domanda è sempre: dove stanno i fatti?».

Dove stanno?

«In ciò che osserviamo. Ciò che fa la scienza per riorganizzare quei fatti in una teoria non è un fatto: è un artefatto, che avrà validità per un po'. L'Einstein giovane lo sapeva, come dimostra la lettera a Felix Klein».

Che cosa scrive nella lettera?

«Si oppone chiaramente a una teoria del tutto: ha appena creato questa teoria straordinaria sulla relatività generale, e ne è ben consapevole, ma anticipa già che sarà superata, prima o poi».

Si può imparare da Einstein?

«Sì, se ne può perfino seguire l'esempio, ciascuno con il talento che ha - e certo lui ne aveva tantissimo. Non era un mago, come sembra in certe descrizioni mistiche: aveva degli indizi e li ha messi insieme, con un metodo investigativo. E questo metodo si può imparare».

Si tratta di investigare, quindi?

«Altro che Sherlock Holmes. Einstein da giovane era un investigatore strepitoso, forse il migliore; ma pur sempre un investigatore. Perciò, quegli studenti che sentono di essere bravi a investigare, magari qualcosa risolveranno...».

Che cos'è la post empirical science verso la quale esprime tanta diffidenza?

«Una posizione filosofica emergente, uscita dalla fisica, che mi inquieta. Uno dei testi di riferimento è quello di Richard Dawid, String Theory and the Scientific Method: prende come base la teoria delle stringhe e l'idea è di avvalorarne la validità senza dati sperimentali».

Ma qualcuno ha mai affermato di avere una teoria del tutto?

«Quelli che sono andati più vicini a dirlo sono i sostenitori della teoria delle stringhe. L'universo è fatto così. Ora nessuno si permette di affermarlo, perché è chiaro che non descrive nemmeno ciò che già abbiamo visto. La teoria del tutto è un concetto vuoto, ed è quasi ovvio che lo sia, e non particolarmente pericoloso».

Non particolarmente?

«Tranne se si instaura una casta che lo imponga a tutti. Ma non voglio immaginare scenari apocalittici da Inquisizione, quando una teoria del tutto si era davvero affermata. Sono più preoccupato dalla post empirical science».

Che cosa la preoccupa?

«Cureremo i nostri mali e costruiremo le nostre cose con le ipotesi, anziché con i fatti.

E non andrà bene».

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