Cultura e Spettacoli

"I modernizzatori della Chiesa? Travisano i pensieri di Cristo"

Negli anni '60 e '70 il prelato spiegava: l'eccesso di dialogo non porta alla morale nuova, ma all'«immoralità vecchia»

"I modernizzatori della Chiesa? Travisano i pensieri di Cristo"

Penso che la mia affermazione scandalizzerà molti cristiani di questi tempi, ma a me sembra la verità: l'atto di fede è la discriminazione più forte tra gli uomini; più forte che non le razze, le culture, le condizioni sociali. Il credente e il non credente quando guardano il mondo, non vedono le stesse cose o, se vedono le stesse cose, non danno loro lo stesso significato; o, se per caso convergono nella significazione, divergono nel finalizzarle: e il fine di una realtà è parte integrante e cospicua della stessa.

Anche a proposito del «dialogo» tra chi ha fede e chi non ha fede, è ora che si chiariscano alcuni equivoci. È doveroso e necessario tentare il dialogo con tutti, perché in ogni campo il cristiano non può e non deve separarsi dagli altri e non può rinnegare la condizione umana, chiudendosi in una solitudine sdegnosa. Ma non deve illudersi che sia possibile.

Un dialogo vero, che non si mantenga in superficie e non sia frammentario, ma tocchi la sostanza delle cose, appare possibile solo nella misura in cui il non credente cominci a credere, o, sventuratamente, il credente cominci a vacillare nella fede. Giovanni XXIII ha insegnato che bisogna distinguere l'errore dalla persona dell'errante: il primo va condannato ma il secondo va rispettato e compreso. Verità sacrosanta. Ma adesso siamo arrivati a non distinguere più l'errore dalla verità e facciamo di ogni erba un fascio. E questa è una sacrosanta balordaggine.

Abbiamo di questi tempi una controprova penosa di quanto sia ardua e solitaria la posizione cristiana in questo mondo, a proposito di alcune questioni fondamentali per la vita morale, e di quanto siano equivoci e rovinosi certi tentativi di comprensione ad ogni costo verso le aberrazioni degli uomini scristianizzati.

Ci sono sbandamenti che vanno denunciati come tali senza mezze misure.

Un uomo che condivida in materia di comportamento sessuale la «permissività» che caratterizza il nostro tempo, a proposito ad esempio della liceità dei rapporti prematrimoniali o a proposito di unioni che si ritengono già sponsali per il puro concorso delle due volontà interessate, senza alcuna ratifica da parte della società religiosa e civile, non è uno che abbia un cristianesimo «illuminato»; è soltanto uno che ha smarrito la visione di fede.

Un uomo che ritenga legittimo o perlomeno scusabile l'attentato alla vita, a qualunque grado del suo sviluppo, ed entri in «dialogo» con i sostenitori dell'aborto, non è un credente che voglia mantenersi «aggiornato», è soltanto uno che sta perdendo di vista i princìpi della Rivelazione di Dio.

Un uomo che ritenga compatibile - o addirittura connesso - col cristianesimo l'esercizio della violenza e si faccia promotore di prepotenze, di ferimenti, di attentati - o anche solo abbia paura a condannarle, da qualunque parte provengano - non è uno che vive il Vangelo secondo le esigenze di oggi; è uno che non sa più leggere il Vangelo.

La smania di «dialogare» ha portato troppi di questi tempi - laici e non laici - a un ammodernamento, che è solo travisamento del pensiero di Cristo. Qui non si tratta di «morale nuova»: si tratta di immoralità vecchia.

Un ammodernamento che tra l'altro non ha niente di moderno né di esaltante: la perdita della fede e l'incapacità a restare fedeli alla mentalità di Gesù non sono una fortuna recente, sono un'antica disgrazia. Gli uomini in tutti i tempi sono sempre stati capaci di perdere con facilità la propria fede; difficile è sempre stato saperla conservare, limpida e sicura, senza lasciarsi impressionare dal chiasso, dalle intimidazioni dalle irrisioni di chi non crede.

A questo punto si pone un problema pratico molto importante: quando come oggi, nei giornali, nelle conversazioni, perfino dai pulpiti, c'è molta confusione, a chi dobbiamo dar retta? Nella Chiesa di Dio ci sono sempre state due norme di estrema semplicità, ancor oggi valide e illuminanti.

l. Stare prima di tutto alla fede che abbiamo ricevuto e che non può cambiare, così come la troviamo espressa nel Credo, nei Comandamenti di Dio, nel Padre Nostro, nei Sacramenti. Noi abbiamo qui la tessera della retta fede: ciò che è in contrasto con i contenuti di questi testi, che sono brevi, chiari e alla portata di tutti, proprio come alla portata di tutti deve essere la verità evangelica, certamente non viene da Dio.

2. Credere ai maestri che lo Spirito di Dio ha posto a reggere la Chiesa. E i maestri sono il papa e i vescovi che sono in comunione di pensiero col papa. Una nuova idea, per essere accolta come compatibile col patrimonio della Rivelazione, deve essere ratificata dai maestri autentici. Tutti gli altri - preti, frati, teologi, teologhesse, cristiani impegnati, cristiani disimpegnati, cristiani progressisti, cristiani tradizionalisti - nella misura in cui si oppongono all'insegnamento del papa o dei vescovi, o lo disprezzano, o semplicemente lo ignorano, sono dei maestri inutili o nocivi e non vanno ascoltati.

Se ad esempio nei comandamenti c'è: «Non ammazzare», nessuno può insegnarci che spegnere una vita, sia pure iniziale, sia consentito. Se c'è: «Non fornicare», nessuno può farci credere che qualche rapporto sessuale al di fuori del matrimonio - comunque lo si chiami o lo si giustifichi - sia ammesso dalla fede cristiana. E non sarà da qualche giornalista o da qualche teologo farneticante o da qualche prete frustrato alla ricerca di notorietà, che riceveremo le direttive da seguire a proposito del modo o della frequenza o delle condizioni con cui si devono ricevere i sacramenti, ma solo dal papa e dal nostro vescovo, fino a che resti in unione col papa.

Se la nostra adesione a Cristo deve cominciare con un «rovesciamento della mentalità» non meravigliamoci che esista da sempre nella Chiesa il problema di non conformarci alla mentalità prevalente nel mondo. Questa è appunto la metanoia, la «conversione», alla quale siamo chiamati ogni giorno (...). Perché il Signore Gesù ha detto: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).

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