Cronache

La morte non cancella il dolore delle vittime: "Non lo perdoniamo"

La sorella del giudice Falcone: "Mai pentito". Rita Dalla Chiesa: "Non posso consolarmi"

La morte non cancella il dolore delle vittime: "Non lo perdoniamo"

«Chi? No. Non è cosa mia». Alcuni corleonesi fingono di non sapere chi fosse Totò Riina. Ma «Cosa nostra», di cui è stato il capo indiscusso di tutti i tempi, è cosa di tutti, perché uccidendo molti dei figli migliori dell'Italia, ha colpito lo Stato, ha inferto una ferita in tutti gli italiani. Alcuni ancora a Corleone, il paese che gli diede i natali, proprio nella piazza intestata ai giudici Falcone e Borsellino che il capo dei capi ha strappato ai loro cari e all'Italia intera, fingono di non sapere. La reazione, di contro, la dice lunga su quale potere si conferisca a Riina, anche ora che non c'è più.

Il peso dei suoi efferati omicidi, quelli per cui stava scontando 26 ergastoli, incombe sulla cittadina siciliana dove in tanti, per fortuna dissociandosi dal «niente so e niente voglio sapere», si dicono preoccupati per il domani, per quella riorganizzazione interna a Cosa nostra che si ipotizza seguirà alla morte del boss. Perché la mafia esiste ancora e non bisogna abbassare la guardia.

La morte di Totò u curtu, «la belva», come la sua vita, non può passare inosservata, nemmeno se l'unico superstite della strage di Capaci, Giuseppe Costanza, l'autista del giudice Giovanni Falcone, comprensibilmente lo auspica. «Meno se ne parla meglio è dice - Cerchiamo di ridimensionare la figura di questo signore. Mettiamolo all'angolo. Non merita altro per quello che è stato e per quello che ha fatto. E se ne vada in silenzio con tutti i suoi segreti». Perché è troppo il dolore che ha seminato. Perché, intercettato in carcere mentre parla con la moglie, Ninetta Bagarella, non è affatto pentito di nulla, anzi è fiero. Perché ha deciso di portare con sé nella tomba tanti, troppi segreti, come sottolinea Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso. «Ci saranno tante persone che gioiranno del fatto che con la sua morte scompare un'altra cassaforte dopo quella vera scomparsa dopo la sua cattura».

Le ferite che Riina ha inferto resteranno per sempre aperte, soprattutto alla luce del mancato pentimento. E i familiari delle vittime, che pure non si fanno portatori di messaggi d'odio e rancore, non possono perdonare. «Non gioisco per la sua morte - ha detto Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso - ma non posso perdonarlo. Come mi insegna la mia religione avrei potuto concedergli il perdono se si fosse pentito, ma da lui nessun segno di redenzione è mai arrivato. Per quello che è stato il suo percorso mi pare evidente che non abbia mai mostrato segni di pentimento. Basta ricordare le recenti intercettazioni in cui gioiva della morte di Giovanni».

«La sua morte è arrivata a 87anni mentre gli uomini dello Stato che ha ucciso erano tutti uomini che nella loro vita non hanno potuto proseguire nei loro affetti. Non è una morte consolatoria». Rita Dalla Chiesa, che per mano di Riina ha perso il padre, generale Alberto Dalla Chiesa, non ha mai creduto nella vendetta, ma anche per lei è impensabile il perdono. Tutt'altra la reazione ad Ercolano (Napoli) dove la città è stata tappezzata di manifesti funebri con tanto di tricolore e i volti di Falcone e Borsellino per dare «il lieto annuncio» della morte di Salvatore Totò Riina. E a seguire i nomi delle «vittime innocenti della mafia». «È una questione che riguarda lui, la sua famiglia e Dio - commenta il colonnello Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo che arrestò, 24 anni fa, Totò Riina - Non ho niente da dire».

Per Ultimo, che guardò dritto negli occhi il capo dei capi, Riina era «più vigliacco che cattivo».

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