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Riina, ritorno con il giallo: salma tumulata nel silenzio

Rinviato ad oggi il trasferimento del boss a Corleone Poi una benedizione privata con i parenti stretti

Riina, ritorno con il giallo: salma tumulata nel silenzio

Totò Riina, il capo dei capi di Cosa nostra, morto poco prima dell'alba di venerdì, fa ritorno a casa. La procura di Parma ha firmato ieri il nulla osta al trasferimento della salma nella cittadina siciliana che gli diede i natali 87 anni fa, ma per necessità organizzative il trasferimento della bara è slittato a questa mattina. La salma è rimasta fino a oggi custodita nell'istituto di Medicina legale dell'ospedale di Parma, presidiata dalle forze dell'ordine. Sono state sempre presenti, ed è questa, forse, la vittoria più grande dello Stato, dunque di tutti i cittadini, contro la mafia che per decisione e per mano del suo capo indiscusso Riina gli ha dichiarato guerra e ha messo a segno una serie innumerevole di colpi mortali che hanno strappato tanti onorabili figli d'Italia ai loro cari, procurando incommensurabile dolore.

Vittoria perché lo Stato ha combattuto sì Riina, ma lo ha fatto secondo legge ed ora, che il capo dei capi giace inerme, continua a tutelarlo. C'è un'auto della polizia al seguito del carro funebre che attraversa lo Stivale. La decisione di trasportare la salma via terra ha fatto riflettere non poco se non fosse un segnale di potere del boss che ha dominato tutta l'Italia. Ma alla fine è stato deciso così.

Ad accogliere Riina sarà la sua Corleone, dove, secondo indiscrezioni ancora avvolte dal giallo, sarà tumulato dopo una benedizione in forma privata che sarà impartita probabilmente domani mattina molto presto nel piccolo cimitero comunale, forse da fra Giuseppe Gentile nel corso di una semplice cerimonia a cui parteciperanno i parenti stretti del boss. Fra Gentile conosce bene la famiglia Riina. Fu lui a celebrare le nozze della figlia minore del boss, Lucia. Niente funerali pubblici dunque. Lo ha fatto sapere nei giorni scorsi la Chiesa, che non dimentica la scomunica pubblica, la prima della storia, di Papa Giovanni Paolo II del 9 maggio del 1993 ad Agrigento. «Questo popolo, popolo siciliano talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Lo dico ai responsabili. Convertitevi. Una volta verrà il giudizio di Dio».

Totò «u curtu», «la belva», troverà posto nella tomba di famiglia in un camposanto che, accogliendo già i boss Michele Navarra, Luciano Liggio e Bernando Provenzano, ma anche il sindacalista della Cgil Placido Rizzotto, il magistrato Cesare Terranova e il maresciallo di pubblica sicurezza Lenin Mancuso della sua scorta, uccisi proprio dalla mafia, rappresenta nel suo piccolo la dicotomia tutta siciliana del bene e del male che convivono. Una dicotomia emersa anche in questi giorni, con alcuni siciliani che con omertà «niente sanno e niente vogliono sapere», e non commentano la morte di Riina nemmeno oggi che non c'è più, e altri che con dignitosa civiltà vogliono che la loro terra sia ricordata anche per quella gente, semplici cittadini e soprattutto giovani, che ogni anno, ricordando le stragi di Capaci e di via D'Amelio, gridano all'unisono «no» alla mafia.

In quel piccolo cimitero aleggia il mistero della tomba del sindacalista Bernardino Verro, ucciso nel 1915, in cui furono trovati due crani, uno dei quali con un buco, segno di un colpo di arma da fuoco. Apparterrebbe a Calogero Bagarella, cognato di Riina, ucciso nella strage di viale Lazio.

Forse l'altro defunto potrebbe essere l'impresario di pompe funebri Francesco Coniglio, che conosceva i segreti del camposanto, ucciso nel 1976.

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