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Kakà e il Diavolo a caccia del passato

Il brasiliano può tornare come ambasciatore: "Questa è la mia casa"

Kakà e il Diavolo a caccia del passato

Avreste dovuto vederli. E sentirli cantare. Chi? I ragazzi arrivati in processione a casa Milan per sventolare, come una reliquia, la maglia col numero 22 e quel nome così corto e così cacofonico da suscitare inevitabili ironie (Moggi tra i primi) diventato invece il marchio di fabbrica calcistica dei trionfi milanisti. Avreste dovuto vederli quei 100, 200, forse 300, a casa Milan in attesa di una foto, un autografo, una pacca sulla spalla e magari anche qualche bacio strappato dalle ragazze con i lucciconi agli occhi. Questo è ancora l'effetto che fa, molti anni dopo la magnifica cavalcata di Yokohama, la conquista di Atene o il viaggio a Parigi per ricevere il Pallone d'oro, l'arrivo di Kakà a Milano per tuffarsi nel suo passato alla ricerca di un indecifrabile futuro. «Siam venuti fin qua, siam venuti fin qua per vedere segnare Kakà»: la colonna sonora di quel Milan che non c'è più e che stenta a rigenerarsi, è riecheggiata ancora una volta dentro gli uffici di via Aldo Rossi arrivando fino al museo, alla sala delle coppe, visitati mai da Kakà e dal papà Bosco Leite, la sua ombra oltre che il suo manager.

Accompagnato da Daniele Massaro, Riccardino ha risposto alle tante domande di cronisti e tv prima di infilarsi nell'ufficio di Fassone per un colloquio, quello sì, rimasto secretato ma che è facile decriptare. Le porte saranno aperte per lui nei prossimi mesi con un compito dichiarato di ambasciatore, come ai tempi avvenne per Leonardo, assistente di Galliani prima di scegliere la panchina del dopo Ancelotti. Molti di quei ragazzi che ieri hanno marinato la scuola per ritrovare il loro idolo, erano probabilmente sotto casa di Kakà la notte in cui, sfidando la pioggia e affacciandosi all'abbaino, il brasiliano disse no al City e ai 105 milioni offerti dallo sceicco. Da allora, il cordone ombelicale tra il popolo milanista e quel ragazzo con gli occhialini non è mai stato reciso. Neppure la cessione al Real provocò risentimenti o accuse di alto tradimento. Florentino Perez annunciò orgoglioso al Bernabeu riaperto per l'occasione: «Kakà està con nosotros». Non riuscirono né a vedere il vero Kakà né ad apprezzarne il talento. «Questa è casa mia, questo è il mio popolo», così Kakà prima di recarsi a San Siro per vedere l'effetto che fa tornare nello stadio dei suoi 100 e passa gol.

«Non ho ancora deciso cosa farò da grande» l'altra frase che deve spiegare il motivo di questo pellegrinaggio sulle tracce del passato. «Mi sento ancora calciatore» ha ripetuto prima di stabilire che tra le sue conquiste, quella mondiale in Giappone, «è stata e resta la più bella e la più preziosa». Nel 2003 il sogno di Kakà s'infranse contro il palo, nel 2007 divenne realtà trascinando il Milan al successo.

Ora può tornare Kakà tra le braccia del Milan ma forse è più urgente che sia il Milan a tornare quello dei tempi di Kakà.

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