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Risparmiatori sacrificati sull'altare del deficit

Renzi, quando era a Palazzo Chigi, trascurò le crisi per spuntare flessibilità di bilancio

Risparmiatori sacrificati sull'altare del deficit

Roma - La caccia alle streghe di Matteo Renzi nei confronti dei presunti poteri forti bancari, colpevoli dei dissesti, non è una cosa seria. È solo un tentativo di imputare a un'istituzione indipendente come la Banca d'Italia la responsabilità di cattive gestioni alle quali la politica, soprattutto sul versante Pd, non è stata estranea. «La vigilanza di Bankitalia non ha funzionato», ha ripetuto ancora ieri il presidente dem, Matteo Orfini, sparando contro Palazzo Koch.

La storia, però, smentisce la versione renziana. Basta ripercorrerla partendo dall'ingresso dell'ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi. È il febbraio del 2014, manca poco tempo all'approvazione da parte dell'Europarlamento della direttiva Brrd che impedisce l'uso di capitali pubblici per i salvataggi bancari senza prima ricorrere al bail in, cioè la penalizzazione di azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro. Per l'Italia, schiacciata da oltre 300 miliardi di crediti classificabili come sofferenze, sarà un bagno di sangue. A Bruxelles molti l'hanno già capito. Il tempo sta scadendo e Renzi nei suoi primi mesi di governo si interessa di altre questioni come la richiesta di maggiore flessibilità di bilancio alla Commissione Ue per finanziare in deficit il bonus da 80 euro. A maggio la direttiva Brrd venne approvata senza che l'Italia si fosse mossa. Le responsabilità di Renzi sono limitate (il piano doveva essere contrastato dagli esecutivi Monti e Letta), ma la sostanziale inerzia non lo giustifica.

Tanto più che il primo comprehensive assessment della Bce, terminato proprio a ottobre 2014, evidenziò situazioni critiche per alcune banche sistemiche italiane, in primis Mps e Carige. Veneto Banca e Popolare Vicenza superarono il test per un soffio. In quell'occasione si comprese che la frittata era fatta. A un anno di distanza, nel novembre 2015, il Parlamento fu costretto a recepire in fretta e furia la Brrd con un decreto legislativo per «risolvere» BancaEtruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Il governo, infatti, non era riuscito a convincere l'Europa nemmeno a farsi autorizzare l'uso del Fondo interbancario di tutela dei depositi per ricapitalizzare quegli istituti come già accaduto con Tercas in quanto «equiparato» a un aiuto di Stato.

A gennaio 2016 è allarme rosso. Per un breve periodo si pensa di creare una bad bank di Stato per liberare gli istituti in crisi dalle sofferenze, ma anche questa volta a Bruxelles sono porte in faccia. Un esecutivo che si è giocato tutto il credito sul deficit non ha autorevolezza per imporsi. Viene ideato il Fondo Atlante, coinvolgendo istituzioni finanziarie private, che brucerà buona parte delle proprie risorse proprio per cercare di salvare PopVicenza e Veneto Banca, ma senza successo. Per evitare nuove mosse impopolari in vista del referendum costituzionale, il governo Renzi non si gioca nemmeno la carta delle «ricapitalizzazioni precauzionali» (tipo quella attuata di recente per Mps), caldeggiate da Bankitalia, per non fornire spunti polemici agli avversari.

Ecco, la vigilanza sarà anche stata poco sollecita, ma anche la politica ha una grave responsabilità, quella dell'inazione.

E Renzi cerca di farlo dimenticare.

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