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E un Ringhio scalda San Siro sotto zero

Incassato il pari, la magia del tecnico: non sgrida i suoi ma li sprona ed evita il crollo

E un Ringhio scalda San Siro sotto zero

Tutti gli occhi sono su di lui. E non potrebbe essere altrimenti. Lui che quel campo lo ha percorso in lungo e in largo tante e tante volte con la maglia numero 8 sulle spalle, ringhiando agli avversari e mettendosi al servizio dei compagni con grinta, voglia di lottare, spirito di sacrificio e personalità. Gattuso Gennaro Ivan da Corigliano Calabro ha quasi 40 anni e ne ha viste tante ma quella di ieri non è stata per lui una serata come tutte le altre. È stato un confine, una sorta di porta che ha varcato passando dal Ringhio giocatore al Gattuso mister. Perché la prima volta sulla panchina della sua squadra del cuore, quella di cui ha vestito la maglia 335 volte, quella che è diventata in tutto e per tutto sua, non può non essere speciale.

Alla vigilia della sfida con il Bologna aveva detto che l'emozione sarebbe stata solo quella di vincere e che i sentimenti personali sarebbero passati in secondo piano. «Un minuto, forse due, e l'emozione passerà». Giusto il tempo di sentire il suo nome gridato da tutto lo stadio, tre volte, al momento della lettura delle formazione. Un urlo forte, il più forte di tutti. San Siro non dimentica il suo eroe, lo applaude e lo incoraggia. Ma Gattuso è tutt'altro che stupido e sa che il suo credito verso un pubblico col palato fine non è e non può essere illimitato. Basta guardarlo per capirlo. Nevischia, tira vento, il termometro dice un grado sotto lo zero ma lui, avvolto in una giacchetta leggera decisamente fuori stagione, non fa una piega. D'altra parte non sta fermo un attimo. Sempre in piedi, costantemente ai limiti dell'area tecnica a lui assegnata, molto spesso fuori. E dire che a San Siro il limite è su per giù a un metro dalla linea laterale. Cammina di qua e di là, urla, dà indicazioni, dirige il traffico. Sembra voler comandare a bacchetta i suoi ragazzi. Ma ci riesce solo in parte e soffre, tra una smorfia e l'altra.

Rimane fermo, quasi impassibile, solo quando il suo Milan trova il gol del vantaggio. Immobile, all'incrocio delle linee della sua area tecnica. Finché non chiama a sé Bonaventura e lo ringrazia, pugno contro pugno, per poi tornare ad urlare, quasi a fiutare l'aria che tira, come avesse capito che no, il vantaggio dopo 11 minuti non significa una partita facile e tutta in discesa. È buon profeta, perché alla prima occasione utile il Bologna pareggia e Ringhio non si tiene più. Non sgrida la squadra ma la incita. Sa che il momento è difficile e basta poco alla squadra per cadere nel tunnel della depressione. Un po' psicologo, un po' allenatore.

Le prova tutte con i suoi cambi, il Milan si butta in avanti e alla fine trova il gol con Bonaventura, ancora lui. Ma non è finita, la squadra è fragile, soffre e il Bologna sfiora il pari. Gattuso è una molla incontrollabile. Ah, quanto servirebbe uno come lui in campo a una squadra con poca personalità. Ma la voglia che aveva lui di spaccare il mondo quando scendeva il campo, evidentemente, non è facile da trasmettere alla squadra. Per il momento, però, basta così.

Il Milan vince, San Siro applaude, Gattuso festeggia, corre ad abbracciare tutti i suoi ragazzi e ora può respirare.

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