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Il film del weekend è "Star Wars: Gli ultimi Jedi"

Il passato lascia il posto al nuovo, in un prodotto d'intrattenimento destinato al grande pubblico più che ai fan di vecchia data della saga

Il film del weekend è "Star Wars: Gli ultimi Jedi"

A distanza di due anni da "Il Risveglio della Forza" è finalmente uscito "Star Wars: gli ultimi Jedi", ottavo capitolo di una saga che per molti suoi fan ha i connotati di una religione. Diretto da Rian Johnson, che ne firma anche la sceneggiatura, il film ha momenti epici, addirittura memorabili, ma un andamento ondivago dovuto a varie cadute di stile.

La storia riprende dov'era finito l'episodio precedente: la Ribellione è alle strette, intenta a capire come seminare il Primo Ordine, che continua il suo piano di conquista della galassia, mentre la bella Rey (Daisy Ridley) è giunta al cospetto di Luke Skywalker (Mark Hamill), leggendario cavaliere Jedi del quale si erano perse le tracce, e spera di convincerlo a tornare all'azione.

Questo secondo film della cosiddetta trilogia-sequel di quella ideata da George Lucas nel 1977, nei suoi 152 minuti di durata (è il più lungo della serie), presenta una moltitudine di avvenimenti di grande impatto visivo ed emotivo, oltre che richiami alle pellicole precedenti ben contestualizzati e mai eccessivi. La narrazione si dirama in sottotrame attraverso un montaggio parallelo sapiente ed è costellata, nella seconda parte, di gustosi colpi di scena. Eppure, come in un gioco di equilibri di forze, ai molti pregi si accompagnano pari difetti: nella prima ora e mezza diversi tempi morti appesantiscono la visione e, quel che è peggio, il film è disseminato di piccoli innesti d'ironia forzata che smorzano il pathos conducendo l'atmosfera al limite del grottesco. La presenza di micro gag in stile Marvel e di animaletti dall'espressività infantile come i Porg, nati per il merchandising, è frutto del nuovo corso Disney che, con le sue strategie di mercato, porta in dote elementi inevitabilmente destabilizzanti per i cultori storici della saga. "Star Wars" è un fenomeno che abbraccia tre generazioni e ora, per conquistare nuove fette di pubblico, rinnova in parte il proprio linguaggio, anche a costo di tradire alcuni tra i dogmi principali della mitologia di base. Se nel film precedente di J.J. Abram si uccidevano i padri, qui si uccide il passato, si fa un falò della sua sacralità, dando alle fiamme i precetti già scritti. Si contempla, perfino, nella possibilità di fallire, la lezione più importante. Forte di questo assunto, il regista rischia il necessario disarcionando qualcosa che era arroccato sulla propria leggenda. Miti di ieri lasciano il testimone a chi scriverà le battaglie di domani. "Gli ultimi Jedi" è, in questo senso, un'affascinante sinfonia requiem in cui ci si affranca da quel che è stato, seppellendolo con tutta l'armonia possibile, e si mettono le basi per una nuova melodia che ci si augura acquisti sempre maggiore epicità.

Non si lesina su spettacolari scene di battaglia e duelli con spade laser, ma neppure su concetti metafisici e drammi esistenziali. Il livello tecnico è altissimo e i nuovi personaggi (intepretati da Benicio del Toro e Kelly Marie Tran) funzionano bene, a differenza dell'ensemble dei registri tonali.

Quello di "Star Wars" è un immaginario che ha ancora tanto da dare e, malgrado presto orfano della principessa Leia (Carrie Fisher è scomparsa lo scorso dicembre), continuerà a condurre in una galassia lontana lontana, almeno per un paio d'ore, chiunque sia disposto a subirne il fascino.

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