Controcultura

E anche il cinepanettone ce lo siamo levati dalle... sale

Gli ultimi (bassi) incassi confermano la crisi di un genere che ha descritto l’Italia per 35anni

E anche il cinepanettone ce lo siamo levati dalle... sale

«Cinepanettone (cine-panettone), s. m. (scherz. iron.) Il film di Natale, lo spettacolo cinematografico popolare per antonomasia». Anno Domini 2017, è giunta l’ora d’intonare il de profundis per il cinepanettone, il nostro unico prodotto pensato industrialmente, legato alle festività e quindi con un rituale «carnevalesco» e liberatorio, perché, come ha scritto Alan O’Leary nel volume Fenomenologia del cinepanettone (Rubettino) - uno studioso irlandese, curioso no? - «sono film che parlano “a”, “di”, o “per” noi». Formando, in 35 anni, quasi una storia d’Italia parallela come ha avuto modo di spiegare sul Corriere.it Tommaso Labate che, attraverso dieci cinepanettoni doc, restituisce un’immagine del nostro paese non solo sociale ma anche politica (da Craxi a Monti con le lacrime di Elsa Fornero). Senza però confondere i piani, come ha fatto Curzio Maltese sulla Repubblica nel 2011 nei giorni della caduta del Governo Berlusconi e della delusione al botteghino diVacanze di Natale a Cortina: «Il crollo del cinepanettone è forse il più clamoroso segno della fine dell’epoca berlusconiana. Il cinepanettone sta al ventennio berlusconiano così come i telefoni bianchi stanno al ventennio fascista». D’altro canto, scriveva lo sceneggiatore Francesco Piccolo in una corrispondenza del 26 dicembre 2005 dal cinema Adriano di Roma per Natale a Miami, ci troviamo di fronte a un pubblico «di un altro mondo» dove le donne hanno la pelliccia e alcune sono addirittura obese! Ecco spiegata bene l’ingiusta distanza, fieramente rivendicata in chiave di superiorità antropologica, dei nostri intellettuali che evidentemente non mettono piede nei centri commerciali, ma straparlano però di «pancia del Paese reale». Meglio allora tornare a dare uno sguardo alle origini e all’originale Vacanze di Natale di Carlo Vanzina del 1983: «Il primo cioccolatino della scatola di cioccolatini assortiti, il migliore. Immortale. Menzione per chi non c’è più. Karina Huff, scomparsa l’anno scorso. E Mario Brega, morto nel ’94. Il resto è già stato pensato, detto, scritto. Ed è tutto vero», scrive Labate che ripercorre la loro storia fino a Vacanze di Natale a Cortina che, nel 2011, tornando sul luogo del delitto, diventa il canto del cigno del genere i cui incassi iniziano a incrinarsi. Complice il divorzio della coppia comica formata da Christian De Sica e Massimo Boldi (il loro ultimo cinepanettone, Natale in India, è del lontano 2003). Della loro chimica comica esplosiva ne scrisse positivamente Tullio Kezich, uno dei pochi critici che ha tentato di capirci qualcosa insieme a Marco Giusti, Steve Della Casa e Silvana Silvestri. Mentre O’Leary, ricordando le tante «nudità grottesche del corpo maschile», smonta l’accusa di sfruttamento dell’immagine del corpo femminile che, al contrario, esprime «sia la propria desiderabilità sia il proprio diritto a desiderare». La lenta agonia del genere è durata qualche anno ma c’è chi ora sta scolpendo le date sulla tomba: 1983-2017. Possibile? Possibile. I tre cinepanettoni in sala, Natale da chef di Neri Parenti, Super Vacanze di Natale di Paolo Ruffini, Poveri ma ricchissimi di Fausto Brizzi, in una settimana di programmazione hanno ottenuto al botteghino complessivamente 3 milioni e 300mila Euro. Ma non è il confronto impietoso con Star Wars – Gli ultimi Jedi che negli stessi giorni, da solo, è giunto a quota 7 milioni e 200mila, a decretare la fine del cinepanettone per come l’abbiamo conosciuto. È il fatto che rispetto alle tre commedie in sala in questo stesso periodo del 2016 Poveri ma ricchi, Natale a Londra – Dio salvi la regina, Fuga da Reuma Park, già in declino di spettatori, quest’anno stiamo a un meno 25 per cento di biglietti strappati. Guardando i singoli risultati scopriamo che Super Vacanze di Natale è a 328mila Euro, Natale da chef a 651mila mentre Poveri ma ricchissimi è a 1.400.000. Il film di Brizzi, che non è a tutti gli effetti un cinepanettone, vince, mentre il pessimo risultato dell’operazione nostalgica di De Laurentiis, che ha ideato un superblob (il regista lo ha definito un «montaggio emotivo-comico») di 35 anni di cinepanettoni, è la rappresentazione plastica della fine di un’era, pure per mancanza di nostalgici. Certo, prima della tumulazione, bisognerà aspettare l’Epifania che tutte le feste porta via. Ma gli antichi fasti rimarranno tali. E non è detto che sia un male. Lo pensa anche un regista e sceneggiatore come Francesco Bruni che su Facebook scrive: «Ci dicevano “è la legge del mercato!”; bene, adesso quella stessa legge sta dicendo chiaramente che è ora di cambiare». Gli fa eco il critico Enrico Magrelli su Twitter: «Cosa dobbiamo pensare di una cosiddetta industria che ancora sforna cinepanettoni? Non è il caso di convocare uno spietato gruppo di autocoscienza?».Insomma, verrebbe da dire, parafrasando la celebre battuta sul Natale detta magistralmente da Riccardo Garrone nel capostipite della serie: «Anche questi ultimi cinepanettoni se li semo levati dalle palle». Un grido liberatorio e disincantato entrato di diritto nell’immaginario collettivo: «Il cinepanettone - ha scritto Andrea Minuz - è diventato un rito sociale annuale di consumo. È inoltre riuscito a mettere in luce il rapporto critico con l’entertainment. Per anni la critica ha sentito l’esigenza di dire “è una commedia ma fa riflettere”. Il cinepanettone faceva riflettere su una certa Italia ma in modo subliminale. Era anche diventato un oggetto distintivo fra gli italiani, divisi fra chi vedeva i cinepanettoni e chi no». Una grande metafora, in ultima analisi, della «vera» lotta di classe.

E ora spargete pure le ceneri al cinematografo, grazie.

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