Cronache

Il paradosso della truffa. Pellicce di veri animali spacciate per sintetiche

Fino agli anni Ottanta il capo era sinonimo di lusso. Adesso il falso vale più del vero

Il paradosso della truffa. Pellicce di veri animali spacciate per sintetiche

Al mercato dell'arte, il falso d'autore ha sempre un banchetto ben fornito. E caro. La contraffazione dichiarata è un'operazione che diventa opera, con tanto di firme e sottofirme, stili, generi, correnti e conseguenti amatori. I quali non stanno a scomodare l'esperto di turno per chiedergli l'expertise: a loro basta la suggestione, la somiglianza, la discendenza diretta anche se putativa. Mater semper certa, pater numquam: la madre (l'arte) è sempre certa, il padre (l'autore) invece no. È un gioco delle parti, in cui a vincere è il terzo uomo, il venditore.

Ma come la mettiamo quando vero e falso si scambiano i ruoli? Quando, per esempio, il vero, cioè il naturale, diventa il falso, cioè il sintetico? «Vero» dovrebbe essere anche «buono», e «falso» dovrebbe essere «cattivo» ma... Ma quando il «vero» è percepito come «scorretto» tutto si ribalta, trasformando il «falso» in «corretto».

Prendiamo le pellicce «vere», un tempo non molto lontano autentico status symbol delle sciure e sciurette che le esibivano orgogliose sotto gli occhi invidiosi delle operaie e delle impiegate in cappottino. Ricordiamo tutti le pubblicità anni Sessanta e Settanta e anche Ottanta, con quei gran pezzi di figliole invisonate e involpate ad ammiccare verso il pubblico non pagante. Poi venne la stagione, tutt'ora in corso, dell'ambientalismo e dell'animalismo. Degne, degnissime prese di posizione, meritori moniti rivolti alle sciure e sciurette affinché non si comportassero più come buzzurre femmine cavernicole o capricciose dame rinascimentali. La terra trema anche quando non trema di freddo, il pianeta è in pericolo: siate civili, accontentatevi, per il bene di tutti, di tosare le pecore.

Detto, fatto: la pelliccia sintetica è stata la sintesi fra la tesi sostenuta dall'uomo (pardon, dalla donna) di Neanderthal e l'antitesi dei nudisti. Così altri gran pezzi di figliole presero a indossare chimica allo stato puro, anch'essa calda a sufficienza. Era la legge del mercato, che non conosce né appelli né cassazioni.

Altro giro, altro regalo, cambiare tutto per non cambiare niente. Ma qualcuno si ostina a spacciare il vero per falso. Via Bovisasca, estrema periferia nord di Milano: i vigili, dietro segnalazione dell'associazione animalista «Onlus Meta», hanno sequestrato la bellezza (de gustibus...) di quasi novemila pellicce vere, quindi cattive, che si volevano far passare per sintetiche, quindi buone. Tutta merce destinata ai negozi della Chinatown che sta un po' più a sud. Una questione di etichetta, ma sostanziale, nel senso che le etichette parlavano di origine sintetica, mentre la Natura, interpellata dal laboratorio della facoltà di Veterinaria, alzava la voce per difendere i propri diritti: altro che sintetici, quei peli sono autentici, appartengono a vittime innocenti. Insomma, una truffa basata sulla buona fede dei consumatori con una mano sul portafogli e l'altra sulla coscienza ecologista.

Il guaio è che una volta fatta la frittata, non si può tornare all'uovo. Che le sciure e sciurette (italiane o cinesi, non fa differenza) già prese all'amo non possono più sgravarsi del peso di aver finanziato i killer di martore, ermellini e via distruggendo.

Speriamo almeno che il prossimo inverno, memori del danno fatto e subito, non facciano il ragionamento inverso, acquistando chissà dove pellicce presentate come sintetiche sperando che siano vere.

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