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Crisi economica e sfida politica. Proteste e feriti, caos in Tunisia

Manifestazioni in molte città e scontri con l'esercito In arresto 400 persone. Il premier attacca l'opposizione

Crisi economica e sfida politica. Proteste e feriti, caos in Tunisia

Non ci troviamo di fronte a un sequel della Rivoluzione dei Gelsomini, della quale per altro domenica cade il settimo anniversario (fuga di Ben Alì), e non ci sono neppure martiri o presunti tali da vendicare. È però altrettanto vero che la Tunisia nel giro di pochi giorni si è trasformata in una polveriera che il governo laico del presidente Beji Cai Essebsi è chiamato a disinnescare per evitare guai peggiori.

La protesta, montata contro il caro vita e soprattutto l'aumento delle tariffe di internet, ha preso piede nelle strade e nelle piazze delle principali città del Paese. Per quattro notti consecutive gruppi di giovani si sono confrontati con le forze dell'ordine. Consuete ormai le scene di violenze e saccheggi da una parte e l'uso di gas lacrimogeni dall'altra. A Tunisi, Tebourba, Hammam Lif, Thala, Beja, El Agba, Siliana, Kasserine, Sfax e Sousse si sono registrati scontri, sassaiole, blocchi stradali e pneumatici dati alle fiamme. A Thala (15mila abitanti, nel Governatorato di Kasserine), è stato appiccato il fuoco alla caserma della polizia con l'esercito costretto a prendere il controllo della città e istituire addirittura il coprifuoco. La notte scorsa inoltre la sinagoga di Djerba, celebre centro turistico, ha rischiato di fare la stessa fine, colpita da bombe incendiarie e salvata dall'intervento delle forze dell'ordine.

Le proteste sono accompagnate da una scritta sui muri che recita «Cosa stiamo aspettando?», e dal disegno di un orologio. Il bilancio parla di un morto, oltre 400 persone arrestate, una trentina di agenti di polizia feriti e parecchi autoveicoli delle forze dell'ordine danneggiati. Martedì un uomo di 46 anni ha perso la vita a Tebourba, città a 40 chilometri dalla capitale. Secondo i manifestanti sarebbe stato investito da un mezzo dell'esercito. Per le forze dell'ordine l'uomo è invece deceduto per una crisi respiratoria dovuta all'inalazione di gas lacrimogeno. Non è casuale che le proteste siano entrate nel vivo martedì, giorno in cui ricorreva l'anniversario dalla morte di Mohamed Bouazizi, il fruttivendolo ventiseienne che si diede fuoco nel 2010 nella cittadina di Sidi Bouzid come gesto di sfida al regime di Ben Ali.

Non si tratta, come accennato, di una recrudescenza della Primavera Araba, per altro nell'unico Paese uscito senza danni dalle proteste che infiammarono il Nord Africa tra il 2010 e il 2011, ma è la crisi economica ad aver spinto nelle strade la gente comune. Il deficit commerciale della Tunisia ha superato i 6 miliardi di dollari nel 2017, e con la forte svalutazione del dinaro il governo presieduto dal 42enne agronomo Youssef Chahed (del partito laico Nidaa Tounes) è stato costretto a varare una legge finanziaria che aggredisce i beni di prima necessità come frutta, zucchero, benzina e internet. Proprio il rincaro delle tariffe di telefonia e connessione sarebbe stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A questo va aggiunto che la Tunisia ha una disoccupazione giovanile del 27% e uno stipendio medio pro-capite 400 dinari (circa 150 euro).

Dalle strade il braccio di ferro si sposta, per fortuna, ai tavoli della politica. Ieri ha preso la parola il presidente 91enne Essebsi che ha chiesto ai suoi connazionali di resistere «Si tratta di una situazione straordinaria, ma il 2018 sarà l'ultimo anno faticoso per i tunisini». Il premier Chahed ha invece accusato dei disordini gli esponenti del Fronte popolare, partito dell'opposizione di sinistra: «Cercano in ogni modo di generare instabilità politica, e si affidano anche a contrabbandieri e a delinquenti comuni». La replica del Fronte popolare è stata immediata: «Chahed parla da irresponsabile».

Il movimento Ennadha (islam moderato) ha invece chiesto di affrontare la questione in Parlamento.

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