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Se l'Occidente ha paura del nome "Allah"

Se l'Occidente ha paura del nome "Allah"

Boualem Sansal ama citare una frase di Albert Camus: «Non chiamare le cose con il loro nome aggrava l'infelicità del mondo». Lui, nato ad Algeri 68 anni fa, dà il suo contributo per tentare la strada opposta. Forse perché, come ha raccontato una volta, quella frase di Camus si può anche girare così: «Dare un nome sbagliato alle cose è abbruttire il popolo e rafforzare la dittatura». E Sansal ha iniziato a scrivere (a cinquant'anni) di fronte alla guerra civile che negli anni Novanta ha distrutto il suo Paese, denunciando i protagonisti di questa carneficina: i militari da una parte, gli islamisti dall'altra. Parlare chiaro, a volte, costa caro: Sansal ha perso il suo lavoro di alto funzionario al ministero dell'Industria, sua moglie non può più insegnare, da anni riceve insulti e minacce, i suoi libri in patria sono proibiti. Li pubblica in francese. Come 2084. La fine del mondo (Neri Pozza, 2016), il Grande Fratello orwelliano in versione islamica; o Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista (Neri Pozza), che esce tra pochi giorni, ma è in realtà antecedente al romanzo.

Islam, islamismo, jihad. Sansal cerca di chiamare le cose col loro nome: «In Europa, terra di libertà per eccellenza, si può criticare tutto e ricorrere a tutte le forme della critica, fino alla satira e alla parodia, ma non si possono criticare l'islam e il suo Profeta»; anzi, «basta pronunciare il termine islam perché qualunque discussione si blocchi o si indirizzi verso i luoghi comuni del politicamente corretto». D'altra parte, dagli intellettuali musulmani proviene un «assordante silenzio» e questo silenzio, spiega Sansal, da un certo punto di vista «è il vettore più forte dell'islamismo», perché consegna «la popolazione e in particolare le sue frange più fragili, i giovani, alle sirene dell'islamismo e del bazar, o alla corruzione e al dispotismo dei poteri arabi». Si capisce perché Boualem Sansal si sia fatto «nemici potenti».

Il risultato è che «in tutti i Paesi il dibattito si è spento, a furia di intimidazioni, di censure, di autocensure e di precauzioni oratorie». E nell'assenza di dibattito sull'islam sguazza l'islamismo. Esso esercita ed estende il suo dominio attraverso il terrore e la predicazione. È così che, apparentemente a sorpresa, ha già conquistato il potere in molti Paesi; e questo nonostante i misfatti compiuti, che hanno offuscato l'immagine dell'islam. Ma confondere islam e islamismo - come fa anche chi, per non parlare di islam, parla solo di islamismo - è l'amalgama «più dannoso». Non è una confusione commessa solo dall'Occidente, ma «negli ultimi trent'anni il punto di vista sull'islamismo è cambiato almeno quattro volte, e ciò ha impedito di osservare lucidamente la realtà e al tempo stesso la costanza del fenomeno di progressiva radicalizzazione in corso al suo interno». Considerato prima mezzo di emancipazione dalle dittature e dalla sfera sovietica, poi visto con preoccupazione per le derive regressive e intolleranti, poi come un pericolo che ha gettato il Mondo nel panico e - infine - affrontato con rabbia e scontro. Il tutto mentre l'islamismo radicale, mutevole e adattabile, «ha cambiato strategia, si è camuffato, si radica ovunque». Come «il verme dentro il frutto».

Il frutto bacato è il Mondo, e l'Occidente è lo spicchio più bacato di tutti.

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