Cultura e Spettacoli

In mostra gli oggetti "immaginari" di Pamuk

In mostra gli oggetti "immaginari" di Pamuk

In via del Gesù a Milano, in quello scrigno che è la casa-museo Bagatti Valsecchi, Orhan Pamuk si muove con l'eleganza informale di chi sa come stare sotto i riflettori con apparente distacco. Nobel per la Letteratura nel 2006 primo autore turco a conseguirlo, con mal di pancia di Ankara Pamuk, 66 anni, è in città per inaugurare la mostra Amore, musei, ispirazione (fino al 24 giugno): composta da 29 teche provenienti dal Museo dell'Innocenza fondato dallo scrittore a Istanbul 5 anni fa per raccontare operazione museologica unica nel suo genere attraverso «oggetti trovati» la sfortunata storia d'amore, ambientata negli anni '70, tra il ricco Kemal e la cugina Füsun raccontata nell'omonimo romanzo (uscito da Einaudi nel 2008). Kemal ha visitato 5723 musei («Io molti meno», scherza Pamuk) e nella top five «dei musei più importanti della vita» c'è il Bagatti Valsecchi che fa da sfondo anche ad alcune scene del romanzo: assistiamo quindi al felice cortocircuito in cui il museo che ha ispirato la narrazione ospita la mostra generata dalla narrazione stessa. Non solo: è la messa in pratica del Modesto manifesto per i musei e di una riflessione (politica) raccolta ora in Un sogno fatto a Milano. Dialoghi con Orhan Pamuk sulla poetica del museo (Johan&Levi editore). «I manifesti sono per giovani arrabbiati col mondo: io vorrei dire qualcosa di pacato», spiega. Lo fa in 11 punti (l'ultimo, fulmineo: «Il futuro dei musei è dentro le nostre case») in cui denuncia il fatto che i nascenti mausolei di storie nazionali («in Asia, India, Cina, e nella mia Turchia») sono figli di un'epica fuori tempo massimo. Oggi non serve più la copia del Louvre, ma va raccontato in piccoli musei locali l'individuo, con la sua storia minuscola.

«Amo i musei fatti dalle persone con le loro mani», dice Pamuk: «Il nostro, a Istambul, aveva una media di 34mila visitatori annui: dopo gli attentati, gli stranieri sono diminuiti, ma stiamo in piedi senza finanziamenti pubblici». L'innocenza del museo sta nell'essere libero da vincoli e nel dare dignità a oggetti «puri»: le sigarette che evocano quelle fumate da Kemal, pubblicità anni '70, le scarpe gialle come quelle indossate da Füsun, cartoline del Bosforo: «Chiunque, fin da piccolo, stabilisce relazioni sentimentali con vari oggetti: il collezionista sa dare una logica a questo amore». Orhan Pamuk venne per la prima volta a Milano da bambino («Ricordo un giocattolo comprato in Galleria») e da 15 anni visita il Bagatti Valsecchi («Prima lo conoscevano in pochi»): oggi realizza in questa piccola casa-museo il sogno di riportare in vita una Istanbul che non c'è più. Fuori, nelle vie dello shopping, si muove libero, senza scorta.

La Istanbul di Erdogan è lontana.

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