Economia

Il colosso della moda on line nato in un garage di Bologna

Dall'idea di Marchetti all'unione con Net à porter

Per dirla coi Pink Floyd, Federico Marchetti è un crazy diamond, un diamante pazzo lucidamente visionario. A cominciare dal nome che ha scelto per la sua creatura, Yoox: così onomatopeico e capace di tener legato il cromosoma maschile (Y) e quello femminile (X) con il doppio zero del codice binario. Lì, in quel marchio, c'è già l'idea maturata sul finire degli anni '90 a New York, dove Marchetti fa il consulente per Bain&Co dopo la laurea alla Bocconi: vendere online le collezioni rimaste invendute delle principali griffe.

Nessuno l'ha mai fatto, lui vuole provarci. Fortissimamente. Al punto da abbandonare la Grande Mela e tornare in Italia. È già una scommessa, diventa un azzardo con lo scoppio della bolla delle dotcom. Addio Yoox? Neanche per sogno: basta trovare un finanziatore, e si parte.

Marchetti contatta Elserino Piol, il padre del venture capitalism italiano, e gli spiega il business plan. Piol lo ascolta, poi stacca un assegno da tre miliardi di vecchie lire. Marchetti si sistema in un garage a Zola Predosa, a Bologna, e all'inizio della primavera del 2000 nasce Yoox. Tre mesi dopo arriva la prima commessa dall'Oland. Piol ha intanto aggiunto sei miliardi alla sua scommessa. Che, anno dopo anno, si rivelerà sempre più vincente. La società all'inizio era di Marchetti per il 9,8%, mentre il 70% era in mano ai fondi Kiwi, con un 20% in possesso di altri investitori. Negli anni successivi i fondi di venture hanno ridotto loro presenza nell'azionariato. Poi, Yoox è diventata adulta: nel 2009 l'Ipo al segmento Star della Borsa Italiana; nel 2015 nasce, dalla fusione con un altro colosso dell'ecommerce, Yoox Net-a-porter e c'è lo sbarco sul listino principale. Allora, la newco, controllata pariteticamente dalle due società, valeva 1,3 miliardi di euro, oggi ne capitalizza 2,7 dopo l'Opa di Richemont.

Yoox non è più una scommessa.

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