Controstorie

I cristiani sono ancora nel mirino Ma oggi il Cairo argina i jihadisti

Attentati e assalti alle chiese, centinaia di morti Anche nel 2017 gli integralisti hanno seminato la morte fra i copti. «La nostra fede è antica e forte, capace di resistere pure alle persecuzioni»

Fausto Biloslavo

da Il Cairo

La colonna di marmo bianco della chiesa dei Santi Pietro e Paolo al Cairo è ancora flagellata dalle cicatrici delle schegge dell'attentato suicida. I copti cristiani in Egitto hanno voluto lasciarla così, per non dimenticare. L'esplosione ha fatto saltare in aria il tetto e ridotto a pezzi 29 fedeli compresi sei bambini, che stavano pregando l'11 dicembre 2016. «Noi cristiani sappiamo di essere sotto tiro e siamo pronti a morire per la nostra fede», racconta Maryam mostrando la foto che porta al collo di suo marito, il custode della chiesa, uno dei «martiri» dell'attacco jihadista.

La sede del patriarcato ortodosso nella capitale egiziana è protetta come un'ambasciata da blocchi di cemento contro le autobombe, cani fiuta-esplosivi, alte mura di cinta e decine di uomini armati delle forze di sicurezza. In Egitto vive la più grande comunità cristiana del Medio Oriente: dieci milioni di copti, il 10% della popolazione. Dalla caduta di Hosni Mubarak grazie alla fallita primavera araba, i cristiani sono finiti sotto tiro. L'apice della violenza si è registrata nel 2013 quando i Fratelli musulmani scalzati dal potere dal generale Abdel Fattah Al Sisi, attuale presidente, presero d'assalto oltre cento chiese nel disperato tentativo di scatenare la guerra civile. Oggi il governo protegge oltre duemila luoghi di culto copti con esercito e polizia. Però lo scorso anno sono stati 128 i cristiani uccisi in attentati nel paese e duecento costretti ad abbandonare le loro case, dopo la dichiarazione di guerra dello Stato islamico annidato nella penisola del Sinai. In un video del febbraio 2017 i tagliagole del Califfo annunciavano: «Allah ci ha ordinato di uccidere gli infedeli. I cristiani sono le nostre prede».

Gli ortodossi hanno creato nella sede del patriarcato al Cairo un toccante memoriale dedicato ai martiri cristiani. A cominciare dai 21 egiziani copti sgozzati nel 2015 in Libia dai boia jihadisti. «Abbiamo trovato i corpi, ma non sono ancora rientrati in Egitto. Stanno ultimando i test del Dna e una volta confermata l'identità li riporteremo a casa per una degna sepoltura», spiega il patriarca ortodosso, Tawadros II, alla delegazione di «Aiuto alla chiesa che soffre» in visita alla comunità cristiana in Egitto. Nel museo dei martiri ci sono le foto dei volti sorridenti di tante donne, alcune giovanissime. E sono conservati i loro vestiti intrisi di sangue che indossavano al momento dell'attentato. Oltre al cuoricino di stoffa con scritto «sei eccezionale», una scarpa da ginnastica, la borsetta impolverata dall'esplosione e le croci spezzate delle chiese saltate in aria.

Il vescovo copto Anba Ermia, barbone grigio e vestito di nero, non ha dubbi: «L'immigrazione in Europa? Mandano avanti i giovani e poi arrivano gli sheik per il lavaggio del cervello che li fa diventare estremisti. Così la jihad sta arrivando anche da voi in Italia e negli altri paesi europei».

Ad Alessandria vive un milione di cristiani e nella chiesa cattolica di Santa Caterina era sepolto, fino al recente rientro in patria, Vittorio Emanuele III. La messa viene celebrata da Francesco Cavina, il vescovo di Carpi, che dopo l'Irak visita i cristiani in Egitto. «La fede dei copti è antica, forte e sofferente, ma capace di sopportare e resistere anche alla persecuzione», sottolinea il prelato. In mezzo ai fedeli un italiano di Alessandria conferma che «nelle moschee dei quartieri più popolari le prediche sono sempre puntate contro di noi, i kafir, gli infedeli. Anche dopo gli attentati all'apparenza si dolgono, ma molti musulmani dentro di loro gioiscono».

Per entrare nelle chiese bisogna passare sotto i metal detector. Il cancello nero davanti alla cattedrale di San Marco porta ancora i segni delle biglie di acciaio del kamikaze che si è fatto saltare in aria la domenica delle Palme. L'ultimo attacco è avvenuto il 29 dicembre con un terrorista che ha sparato all'impazzata in un quartiere del Cairo davanti alla chiesa di Mar Mina uccidendo nove persone. «Aiuto alla chiesa che soffre ha contribuito a erigere muri di cinta e sistemi di sorveglianza per garantire la sicurezza dei luoghi di preghiera», sottolinea il direttore, Alessandro Monteduro.

Nella vita di ogni giorno, nonostante i passi avanti garantiti dal presidente Al Sisi, che i copti vedono come una specie di salvatore, i cristiani rimangono discriminati sui posti di lavoro e nelle carriere pubbliche per non parlare delle forze armate che controllano il paese. «Non esiste neppure un giocatore di calcio di livello, cristiano. È ancora impossibile»», denuncia il francescano Lucas Sawarzan.

Redenta, una giovane cattolica con la lunga chioma corvina, racconta che «per noi ragazze cristiane può essere pericoloso girare da sole per strada. Mi è capitato di essere strattonata e importunata dai giovani musulmani che mi accusavano di essere un'infedele. Urlavo, ma nessuno interveniva, neanche la polizia».

Nella zona ovest di Alessandria, in un quartiere in mano ai salafiti, sorge la piccola chiesa dell'Immacolata Concezione difesa da un enorme cancello di ferro. Padre Francesco Wahid, 40 anni, spilungone, è in prima linea. «Nel quartiere girano armi e droga - spiega -. Un paio di settimane fa in uno scontro fra uno spacciatore cristiano e uno musulmano è morto quest'ultimo. Le autorità ci hanno chiesto di chiudere la chiesa per timore di rappresaglie».

Nell'alto Egitto, lungo il Nilo, la provincia di Assiut assieme a quella di Minia registrano la più alta percentuale di cristiani, oltre il 30%. Davanti alla chiesa del vescovo di Assiut è piazzato un blindato color sabbia dell'esercito. I soldati egiziani sono in tenuta di combattimento e la polizia sbarra la strada. Il vescovo Kirillos William viene fermato dai fedeli che baciano la croce in legno stretta nella mano. «I terroristi minacciano: Trasformeremo le vostre feste nel sangue, ma siamo gli unici cristiani che organizzano le processioni per la Madonna in strada», osserva il prelato copto cattolico. I fedeli possono farlo a Der Dronca, un villaggio di seimila anime, tutte cristiane. Alle pendici della grotta, dove ha sostato la Sacra famiglia di Gesù in fuga dalla Palestina, super blindata, ma frequentata da un via vai continuo di pellegrini.

Nell'alto Egitto non possiamo muoverci senza la scorta. A Minia il vescovo Botros Fahim, con la tonaca fino ai piedi, ci aspetta in strada. All'ufficiale della scorta prende un colpo e con la mitraglietta in pugno non lo molla un attimo. «Dobbiamo sempre stare attenti. Il fondamentalismo adesso è sotto traccia ma pronto a esplodere», conferma il prelato. I cristiani della provincia sono due milioni, ma Minia è pure la culla dei Fratelli musulmani. Nel 2013 sono state devastate una sessantina di chiese. Accanto a ogni luogo di culto cristiano viene costruita una moschea con il minareto rigorosamente più alto del campanile. E la discriminazione non demorde: «All'università è prassi che i laureati con i voti migliori siano assunti come assistenti. I cristiani vengono spesso scartati perché devono passare davanti i musulmani anche se con voti più bassi».

Lo scorso maggio a 60 chilometri da Minia, sulla strada che porta al monastero di San Samuele, i tagliagole dello Stato islamico hanno intercettato un autobus di pellegrini. A una bambina di nove anni hanno levato via la pelle per cancellare la piccola croce tatuata sul polso. Poi le hanno sparato davanti ai genitori. Ventotto cristiani sono stati trucidati. Michael è il figlio di una delle vittime, Atef Monir Zaki, 63 anni. «Mio padre aveva un proiettile in fronte - racconta dopo averci portato al cimitero dove è sepolto -. I terroristi lo volevano costringere a ripetere la professione di fede musulmana. Lui si è rifiutato e i boia lo hanno pestato con una spranga sul petto e sulle gambe. Non ha ceduto ed è stato ammazzato.

Per noi è un martire».

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