Cronaca locale

Il racket dei profughi: con il berretto in mano davanti a bar e negozi

Chiedono soldi in strada, gentili e ben vestiti. Un'organizzazione li indottrina e incassa

Il racket dei profughi: con il berretto in mano davanti a bar e negozi

Sempre la stessa storia? Non esattamente. I mendicanti di cui vogliamo parlarvi non sono i soliti che insistono imperterriti a pulirci i vetri dell'auto al semaforo, quelli che dormono su un giaciglio di fortuna davanti alle boutique di corso Vittorio Emanuele con accanto la scritta «ho fame» e nemmeno i vari funamboli di etnia rom che ne escogitano una al giorno per spillarci del denaro mentre andiamo al lavoro o accompagniamo i figli a scuola. Analizziamo invece un nuovo fenomeno che si sta rivelando strutturato e gestito da vere e proprie organizzazioni seppure in un modo completamente differente (nonché senz'altro di grande successo per chi lo organizza) rispetto al passato. Ci soffermiamo quindi su quei pacifici ragazzi africani, ben vestiti ed estremamente cortesi, che sfoderando un sorriso molto autentico, si appostano ogni mattina davanti al nostro bar, alla pasticceria sotto casa o al supermercato del quartiere dove abitiamo. Hanno lo sguardo buono, con occhi che ci puntano addosso come per perforarci il cuore e la coscienza mentre allungano il cappello per indurci a metterci dentro la monetina. E spesso, spessissimo ci riescono. Magari non subito, strappandoci però la promessa, regolarmente mantenuta, di quel «quando esco» che indica un appuntamento rimandato solo di qualche minuto, dopo caffè e brioche.

Questi giovani sono talmente desiderosi di piacere da tenere buoni rapporti (fondamentali) anche con i gestori dei bar. In cambio del permesso di starsene fuori dal locale, i giovani di colore vuotano i portaceneri o allungano al barista le tazzine lasciate da chi il cappuccino ha preferito berselo seduto a un tavolino all'aperto. Davanti ai supermercati, invece, sono maestri ad accaparrarsi la fiducia di anziani o single in difficoltà con le troppe borse della spesa, offrendosi di aiutarli a portarla a casa. Risultato: questi giovani profughi, richiedenti asilo, perlopiù nigeriani, gambiani e ivoriani, ce li troviamo davanti ogni giorno. Non è bello da dirsi, ma stanno diventando una sorta di tassa obbligatoria, per avere il lasciapassare dalla nostra coscienza.

Li abbiamo seguiti per settimane, a Milano, per riuscire a parlarci, a carpire qualche informazione su chi e come li «indottrina» perché era evidente che non potevano essersi uniformati casualmente con il medesimo modus operandi all'improvviso e in tutta la città. Alla fine siamo riusciti a farci raccontare un po' di cose su come vengono addestrati e indottrinati. Naturalmente c'è qualcuno che a un certo punto della giornata li raggiunge, conta il denaro, li fa spostare periodicamente, come in un vero e proprio racket (in alto la foto di uno degli «organizzatori» che incontra i suoi sottoposti).

A dicembre la polizia locale ha sottoposto alla Procura di Milano l'indagine Baseball Cap (cappellino da baseball) dove si parla di circa 200 di questi giovani ipotizzando l'esistenza di una organizzazione criminale alle loro spalle; a San Donato sono stati visti arrivare da fuori su un pulmino che li scarica davanti a negozi e a punti di passaggio e Forza Italia ha inviato in Consiglio comunale una interrogazione per avere risposte in merito a questo fenomeno e ha lanciato una raccolta firme.

Finora a parte qualche identificazione non si sono raggiunti risultati, ma quello del racket diventa ogni giorno che passa sempre qualcosa di più di un semplice timore.

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