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Renzi si è fermato a Eboli: nel Sud tira aria di disfatta

Al Nazareno c'è già chi chiede il passo indietro del segretario in caso di tracollo

Renzi si è fermato a Eboli: nel Sud tira  aria di disfatta

Roma - Il Pd si è fermato ben più a nord di Eboli. Dopo l'impietosa immagine delle previsioni elettorali sui collegi uninominali che vedevano un Nord «azzurro» (con l'unica eccezione, guarda il caso, del Trentino-Alto Adige), ecco arrivare altre docce fredde sugli inquilini del Nazareno. Il prossimo 4 marzo al Sud il Pd potrebbe vivere una sorta di «Caporetto». Le ultime simulazioni di voto disponibili parlano di pochissimi collegi nel Mezzogiorno (meno di cinque per alcuni sondaggi, addirittura uno solo per Youtrend). E il meccanismo dei tre fronti a penalizzare il Pd, che da un lato soffre il confronto con un Movimento Cinque stelle ben più quotato e dall'altro soffre della stretta alleanza Forza Italia-Fratelli d'Italia.

Il segretario del partito, Matteo Renzi, prova a spiegare che i sondaggi non sono tarati sul sistema elettorale e che la quota dell'uninominale è solo del 36%. Quindi, a rigore, tutte quelle regioni azzurre al Nord e incerte al Sud non raccontano il voto. Ma soltanto una sua parte. Che la situazione stia sfuggendo di mano agli strateghi del Nazareno ermerge, però, in tutta evidenza anche grazie alla scelta di Renzi di ammettere, per la prima volta, in tv durante il programma Agorà (Rai Tre) che questa legge elettorale non consegnerà al Paese un vincitore. E che il dopo-voto sarà necessariamente un governo di larghe intese, voluto e benedetto dal Quirinale. Un governo cui lui e Berlusconi non potranno evitare di partecipare. Sul portale di informazione «Affari Italiani», ieri, si è iniziato a parlare di exit strategy. I vertici del Partito democratico avrebbero, infatti, iniziato a considerare l'infausta ipotesi che il simbolo rimanga sotto il 20 per cento (considerata «soglia psicologica» per parlare di disfatta). Quello che non è avvenuto il 5 dicembre del 2016 potrebbe accadere il prossimo 5 marzo. Alla vigilia del voto sul referendum costituzionale Renzi aveva promesso che avrebbe lasciato la politica qualora il «partito» del Sì non avesse vinto. Il passo indietro potrebbe farlo adesso. E a invocarlo questa volta sarebbero i suoi stessi compagni di direzione. Anzi, sarebbe l'intera Direzione a sciogliersi come neve al sole. I cosiddetti membri del «giglio magico» dovrebbero uscire - come racconta appunto Affari Italiani - e lasciare il posto a un commissario straordinario per il tempo necessario a riorganizzare la Direzione su una base più eterogenea. Uno dei fedelissimi di Renzi, Matteo Orfini ha già trovato lo slogan adatto al momento: «Destra e populisti pensino a vincere nei sondaggi, noi pensiamo a vincere dentro le urne».

È però il meccanismo elettorale dei confronti diretti a rappresentare un handicap per il centro-sinistra. Se al Nord non c'è partita contro l'asse Berlusconi-Salvini, al Sud rischia di diventare una sfida altrettanto impossibile contro centrodestra e M5s, visto che tutti i sondaggi danno la coalizione guidata da Renzi nettamente inferiore ai voti «potenziali» dei grillini.

Insomma la perdita della «costola» di Leu sarebbe tutt'altro che indolore in generale, ma al Sud potrebbe rappresentare proprio il fatal azzardo.

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