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"I Giochi o la coppa? M'interessa vincere non che cosa vinco"

A 35 anni dall'inferno del lungo stop per infortunio al bel rientro: «Amo il sapore della gara e far bene qui...»

"I Giochi o la coppa? M'interessa vincere non che cosa vinco"

Una medaglia olimpica per tipo (a Vancouver 2010 fu oro in superg, argento in discesa e bronzo in gigante ndr) e ancora tanta voglia di giocare ai Giochi. Aksel Lund Svindal è tipo da raccogliere sfide e provocazioni: no, non quelle sulle nuove divise olimpiche con quelle rune ricamate che hanno fatto arricciare il naso a molti. Lui, il vichingo gentile che ha tante vittorie quanti anni (35), oltre a 40 podi, 8 medaglie iridate, due coppe generali, due di discesa, ben 5 in superg, una in gigante e una in combinata, i numeri li sa dare bene e preferisce spiegarsi sul campo di gioco e il caos calmo della vigilia di queste Olimpiadi se l'è lasciato alle spalle da tempo: «Se non ci fossero state le condizioni non sarei partito per la Corea, ma ho sempre avuto piena fiducia nel Cio, il comitato olimpico, e spero che lo sport possa davvero fare qualcosa per la pace. Che cosa, invece, possa fare ancora Aksel da Oslo per questo sport è presto detto: lui dà l'esempio perché è il più forte, il più maturo, ma anche il più umano dei campioni. All'apice della carriera, ha conosciuto la voragine e il dolore di gravissimi incidenti (nel 2007 rischia la vita a Beaver Creek, due anni fa si schianta sulla Streif di Kitz), combattendo per tornare sempre al vertice. Ok, i risultati rispetto a Marcel VI (e prossimo al suo settimo titolo generale, dato il vantaggio di Hirscher in classifica) non hanno il peso della quantità, ma lui, in questi sette anni, è andato e tornato dall'inferno degli infortuni almeno due volte.

L'arminuto, colui che ritorna: una parola difficile in italiano, va bene come definizione per lei?

«Bello, ma non parlo così bene la vostra lingua da capire tutto. Però non mi sento un sopravvissuto, ma un combattente.

Come si fa a tornare forti dopo due anni out e dopo i 30?

«Lo si fa proprio con la consapevolezza di non poter più essere quello di un tempo».

Lei è rientrato salendo sul podio: poi tre vittorie, altri due podi e cinque top ten. Sicuro di essere meno forte?

«Purtroppo sì. Rientrare così bene a fine anno, con i risultati di Lake Louise e nella mia Val Gardena ha stupito tutti e soprattutto me. So, però, che devo fare i conti col mio ginocchio: dopo ogni gara programmo a vista la mia preparazione».

Quest'anno avrebbe potuto concentrarsi sui Giochi e invece si ritrova terzo in classifica generale e secondo sia in discesa sia in superg, con forti chance per altre due coppe: un ragazzino.

«Le sfide mi esaltano e non ho mai pensato né di ritirarmi né di programmare il mio rendimento per la Coppa o i Giochi. Certo che in Corea»

Saranno i suoi ultimi Giochi e il bottino di 3 medaglie rispetto al palmares sembra perfino scarso.

Ride. «Diciamo che fare bene a PyeongChang sarebbe stupendo, avrebbe un significato speciale dopo quello che ho passato, ma in realtà per me conta altro.

Cioè?

«Io tenevo a tornare a sciare e a vincere. E vorrei ancora continuare a farlo per un po'. Non importa poi se ai Giochi, ai Mondiali o in Coppa. Io adoro lo spirito e il sapore della gara, aprire il cancelletto e possibilmente vedere la luce verde in fondo».

E vedere magari il suo compagno Jansrud dietro di lei, di pochi centesimi. Una sfida che si rinnova e fa bene allo sci.

«In Coppa succede, è vero; alle Olimpiadi di Sochi mi ha però lasciato dietro lui, pure giù dal podio».

Ha conti in sospeso con qualche pista in Coppa? Wengen, Kitz sono gare che valgono una carriera.

«Anche quest'anno non ce l'ho fatta: a Wengen ho chiuso ancora secondo (terzo podio ndr) e l'unica vittoria è del 2016 su pista accorciata. A Kitz, stessa storia: sei podi e le tre vittorie tutte in superg».

Quindi?

«Ci riproviamo: bisogna sempre darsi degli obiettivi».

Le piace accarezzare i suoi limiti?

«Anche sciando bene non è detto che ci si riesca ad avvicinare davvero.

La realtà è che i miei limiti oggi sono dati dagli infortuni e dalla capacità di ritornare. Resilienza? Come si dice in italiano?»

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