Economia

E Draghi difende l'industria 4.0. "Le nuove tecnologie non eliminano posti di lavoro"

Ma per il capo della Bce chi resta a spasso va aiutato dallo Stato in modo da acquisire le competenze

E Draghi difende l'industria 4.0. "Le nuove tecnologie non eliminano posti di lavoro"

Più di vent'anni fa, l'economista Jeremy Rifkin preconizzava la «fine del lavoro» in un libro, in parte profetico, sui nodi occupazionali che avrebbe provocato la terza rivoluzione industriale. Ora, in un mondo dove crisi e globalizzazione hanno determinato sacche profonde di disoccupazione e sotto-occupazione soprattutto fra i giovani, e divaricato la forbice delle disuguaglianze, già incalza la quarta rivoluzione. È quella portata dall'uso sempre più massiccio delle nuove tecnologie. Automazione spinta all'estremo, robot tuttofare e intelligenza artificiale ripropongono il solito, vecchio interrogativo: l'industria 4.0 creerà nuove opportunità, o avrà un potere distruttivo sul mercato del lavoro? Mario Draghi non pare avere dubbi: «I timori che il progresso tecnologico distrugga posti di lavoro sono vecchi come la rivoluzione industriale. Fino ad ora l'esperienza dimostra che i posti di lavoro creati dall'introduzione di nuove tecnologie sono stati superiori a quelli che sono stati eliminati. Possiamo essere ragionevolmente ottimisti che questo sia vero», ha detto il presidente della Bce rispondendo alla domanda di uno studente nell'ambito dello Ecb Youth Dialogue.

Messa così, sembra che Draghi ignori quanto sia oggi meno agevole la transizione verso il nuovo rispetto all'epoca in cui l'automobile pensionava la carrozza dando vita a una filiera occupazionale prima inesistente. In realtà, l'ex governatore di Bankitalia non fatica ad ammettere le insidie presenti, determinate dalla situazione in cui versa l'eurozona. Dopo aver ricordato come in quattro anni siano stati generati sette milioni di posti, Draghi ha anche sottolineato che la qualità di questi lavori «può essere migliorata perchè molti di questi lavori sono lavori temporanei o part-time per cui occorre continuare a lavorare per estendere a tutti i benefici della ripresa». Come è possibile, proprio in considerazione delle sfide portate dalle nuove tecnologie? Due le condizioni necessarie: «La prima - spiega il numero uno dell'Eurotower - è che i benefici che vanno ad arricchire quei settori in cui queste tecnologie vengono introdotte vengano trasferiti al resto dell'economia cosi che si possono creare posti anche in altri settori». Punto secondo: «Quelli che perdono il proprio posto nel settore interessato dalle nuove tecnologie possano trovare impiego nel resto dell'economia e questi aggiustamento non è nè semplice nè indolore. Per questo qualche forma di supporto da parte del governo è necessario sotto forma di aggiornamento e training in modo che questi lavoratori possano acquisire nuove skill».

Il nodo della formazione è un tema già affrontato in passato dal banchiere centrale, proprio perchè la scarsa preparazione, unita alla frammentazione del mercato del lavoro, non sviluppa nuove competenze ed è considerata tra le cause principali dell'alto tasso di disoccupazione tra i giovani. Germania e Austria hanno aggredito il problema puntando proprio su programmi ad hoc di educazione professionale, aveva ricordato Draghi. Italia, Grecia, Spagna e Portogallo scontano invece un ritardo culturale che rischia di costare caro.

Si può fare di più: il treno dell'innovazione non fa fermate.

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