Cronaca locale

«Delitto e castigo» al Parenti In scena l'inferno e ritorno

Fino al 4 marzo la pièce tratta dal libro di Dostoevskij Il regista Oliva: «La nostra anima davanti allo specchio»

Antonio Bozzo

I teatri sono finestre spalancate attraverso le quali vedere la nostra vera natura, anche quando ha tratti inconfessabili. «Delitto e castigo» al Franco Parenti (16 febbraio-4 marzo), adattamento dal romanzo di Fëdor Dostoevskij (a cura di Alberto Oliva e Mino Manni) è appunto una «finestra sul porcile» (ci si passi la battuta) o, più correttamente, ricorda il sottotitolo, «una discesa agli inferi tra lucidità e follia».

Spiega Oliva, anche regista della messinscena con nove attori, prodotta con grande impegno anche economico dal teatro diretto da Andrée Ruth Shammah: «Andrée mi ha invitato a portare un progetto su Dostoevskij, insieme con Manni. Ha visto il monologo da cui iniziava tutto il percorso e ci ha donato con generosità le risorse interne del teatro. È una direttrice straordinaria, trova sempre il modo di moltiplicare le idee. Uno spettacolo come questo non saremmo mai riusciti a farlo senza la sua capacità visionaria». Ma Dostoevskij riesce ancora a parlarci, «è l'unico autore capace di andare alle radici dell'animo umano con lucidità e sincerità». È spietato nella sua disamina delle pulsioni umane, impossibile non riconoscersi nei suoi personaggi, torbidi e conturbanti. «Ci mette di fronte al lato oscuro di noi stessi. Da una lettura di Dostoevskij si esce con una marcia in più e tanta voglia di vivere e amare», aggiunge. Ma non bastano, per discendere agli inferi, i crudi fatti della cronaca nera di oggi, forse c'è bisogno di tornare nella San Pietroburgo dell'assassino Raskolnikov. «Dostoevskij ci racconta le anime da dentro - aggiunge - Ciò di cui abbiamo bisogno non è la notizia nuda e cruda, che titilla la morbosità e favorisce le strumentalizzazioni politiche. Ci serve qualcuno che sappia portarci nel sottosuolo e farci vedere allo specchio. Che cosa muove una persona a uccidere? Quali sono le conseguenze sulla sua coscienza?». Difficile ridurre Dostoevskij per il teatro: ma secondo il regista in realtà è più semplice di quanto sembri. Scrive per intero i dialoghi dei personaggi, senza salti logici, costruendo vere e proprie scene già pronte per il teatro. «Il grande lavoro è di selezione. Con Mino Manni abbiamo scelto le parti del romanzo, personaggi da far vivere, creando una nostra opera che parte da Dostoevskij».

Ha scoperto il grande scrittore russo per caso, partecipando nel 2010 a un concorso del Teatro Filodrammatici sulle Notti bianche. «Una folgorazione - conclude - non ho più smesso di leggerlo e rileggerlo. L'ho scoperto da ragazzo di teatro, nel senso che ero giovanissimo, ma già mi davo alla regia teatrale.

Dostoevskij conteneva tutto quello che ho voglia di dire con uno spettacolo».

Commenti