Cronache

La laurea fa bene alla salute. Chi studia vive più a lungo

Una "dottoressa" ha un'aspettativa di 85,9 anni. Un uomo che si è fermato alle elementari di 77,2

La laurea fa bene alla salute. Chi studia vive più a lungo

Un tempo le mamme dicevano: studia, figlio mio, che farai carriera. Oggi le stesse mamme supplicano: studia, figlio mio, che magari non troverai lavoro ma camperai a lungo.

Proprio così: la nostra aspettativa di vita dipende molto dalla nostra istruzione. Molto più di quanto dipenda dal luogo di nascita. Essere laureati garantisce un'aspettativa di vita di 82,4 anni per i maschi e addirittura di 85,9 anni per le femmine. Per i diplomati i dati scendono rispettivamente a 80,9 e 85,3 anni. Per coloro che hanno solo la licenza media si scende a 79,4 e 84,6 anni. Infine coloro che hanno solo la licenza elementare possono sperare di vivere 77,2 anni se uomini e 83,2 anni se donne. In pratica tra una donna laureata e un uomo semianalfabeta ci sono 8,7 anni di vita di differenza. Le donne però sono talmente più longeve dei colleghi che una donna che non ha mai aperto un libro campa comunque più di un premio Nobel coi baffi.

A paragone con tali differenze di genere e di censo, sembra quasi trascurabile lo spread nell'aspettativa di vita nelle varie aree geografiche d'Italia. A fronte di una media nazionale di 82,751 anni pro capite, il Nord-Est è la macroregione più longeva con 83,255 davanti al Centro (83,010), Nord-Ovest (83,007), Sud (82,056) e Isole (82,041). Le Regioni dove si campa più a lungo sono il Trentino-Alto Adige (83,571), le Marche (83,364) e Umbria (83,311), quelle dove si muore prima Campania (81,068), Sicilia (81,835) e Calabria (82,296). Tra le province, al top Firenze (84,094), Rimini (84,047), Monza-Brianza (83,920), Treviso (83,867) e Trento (83,733); in coda Caserta (80,658), Napoli (80,683), Caltanissetta (81,133), Siracusa (81,400) ed Enna (81,519).

È un'Italia con due cartelle cliniche molto diverse, quella che esce dalle elaborazioni dell'Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane rese note ieri. Tutti hanno lo stesso sistema sanitario ma le disuguaglianze sono troppo marcate per non fare immaginare un sostanziale fallimento delle politiche sociocanitarie nel nostro Paese.

L'Italia ricca e colta ha le risorse per avere accesso a cure private o per stipulare buone assicurazioni sanitarie; quella che si barcamena ha sì accesso gratuito (o quasi) al sistema sanitario nazionale, ma che spesso rinuncia a curarsi per le distanze delle strutture, per le lunghissime file di attesa o perché non può permettersi di pagare nemmeno il ticket. Nella classe di età che va dai 45 ai 64 anni il 12 per cento degli italiani che ha ultimato soltanto la scuola dell'obbligo ha rinunciato almeno una volta a una prestazione sanitaria, mentre la percentuale scende al 7 per i laureati. E così non c'è da sorprendersi se, nella stessa classe di età, il 23,2 per cento delle persone con la licenza elementare ammette di avere una malattia cronica mentre questo accade solo all'11,5 per cento dei laureati.

Ci consola (si fa per dire) il fatto che in tutta Europa avvenga lo stesso. Anzi, va peggio. Dovunque esiste un netto divario tra coloro che dichiarano di stare male o molto male nella classe di età 25-64 anni a seconda del titolo di studio. In Italia c'è uno spread di 6,6 punti percentuali tra coloro che hanno fino alla licenza media (9,7 per cento) e i laureati (3,1), più della Svezia (4,5) ma meno di Finlandia (7,9), Islanda (8,6), Svizzera (9,0), Norvegia (9,2), Danimarca (12,7), Lussemburgo (13,1), Austria (13,6), Germania (14,4) e Paesi Bassi (14,9).

Studia, figlio mio, studia.

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