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Siria, altre bombe su Ghouta. Erdogan-Assad ai ferri corti

Quarto giorno di strage nella città ribelle. Il Cremlino: non c'entriamo. La zona curda di Afrin fronte caldo

Siria, altre bombe su Ghouta. Erdogan-Assad ai ferri corti

Sono proseguiti anche ieri, per il quarto giorno di fila, i bombardamenti su Ghouta, il sobborgo orientale di Damasco da cinque anni nelle mani dei ribelli sunniti anti Assad. Le immagini circolate in tutto il mondo e le testimonianze dei rappresentanti di organizzazioni umanitarie e di agenzie delle Nazioni Unite concordano nel raccontare un terribile massacro di civili: nei primi giorni era stata stimata la morte di circa 250 persone, che con quelle uccise ieri sono arrivate a quota 300. Un massacro al quale ieri il Cremlino, chiamato in causa da attivisti anti Assad ma anche dagli Stati Uniti, ha negato di aver partecipato, lasciandone la responsabilità al regime di Damasco di cui è peraltro il principale e interessato sostenitore. Mosca ha anche chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza Onu.

Non a caso è proprio sulla Russia (e in second'ordine sull'Iran) che si concentrano le pressioni internazionali per far cessare la carneficina alle porte di Damasco. A proposito della quale ancora ieri «Medici senza frontiere» ha denunciato la gravità della situazione per gli oltre 1.200 feriti causati dai bombardamenti, per i quali mancano anche i farmaci salvavita.

A Ghouta si sta ripetendo un modello già visto in altre città e località siriane cadute in mano ai ribelli, prima fra tutte Aleppo: bombardamenti scriteriati con aviazione e artiglieria, anche con l'uso delle famigerate barrel bomb, condotti fino alla devastazione di aree urbane in cui si nascondono le milizie nemiche. L'obiettivo finale è l'evacuazione dei ribelli, conseguito non importa a quale prezzo umano: nella parte di Aleppo ripresa ai miliziani vivevano centinaia di migliaia di persone, e a Ghouta è lo stesso. Il che non toglie, come le fonti ufficiali del regime giustamente ricordano, che da quelle aree piovevano e ancor oggi piovono colpi di mortaio sui quartieri residenziali ieri di Aleppo e oggi di Damasco: ancora martedì nella capitale siriana sono morte così cinque persone e venti sono rimaste ferite.

Nella Siria ormai definitivamente piombata nel caos del tutti contro tutti dopo la fine della minaccia comune rappresentata dallo Stato islamico i combattimenti proseguono anche sull'altro delicato fronte di Afrin, al confine con la Turchia. Ankara annuncia la prosecuzione delle sue operazioni militari nella provincia difesa dalle milizie curde Ypg, «malgrado gli accordi sporchi e oscuri», riferimento al sostegno che le forze regolari di Assad avrebbero accordato all'Ypg e che ora la Turchia preferisce definire «propaganda».

Rimane il fatto che Erdogan accetta di mettere a rischio le sue ottime relazioni con Putin e di subire un crescente isolamento internazionale pur di condurre fino in fondo la cosiddetta operazione «Ramoscello d'ulivo» ad Afrin.

Ieri il portavoce di Erdogan ha ribadito che l'Ypg «sta cercando di trasformare Afrin in un nuovo quartier generale del terrore» (per Ankara i curdi siriani sono tout court terroristi) e, replicando alle critiche a «Ramoscello d'ulivo», ha chiarito che «la Repubblica di Turchia fa quello che è necessario nel suo interesse nazionale e non deve dare spiegazioni».

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