Cronaca locale

Condanne per 182 anni ai boss di Quarto Oggiaro

Con la fine del maxi processo a «Dentino» Crisafulli e al suo clan si è chiusa l'epoca d'oro del narcotraffico

Condanne per 182 anni ai boss di Quarto Oggiaro

Il vecchio boss non è venuto a sentire la sentenza che aggiunge altri vent'anni al suo conto già infinito con la giustizia. Biagio «Dentino» Crisafulli è rimasto nella cella di Fossombrone dove sta scontando l'ergastolo. Per lui, vent'anni in più cambiano poco. Ma la sentenza emessa ieri pomeriggio dalla settima sezione del tribunale sancisce una certezza che in qualche modo eleva ancora di più il suo status: anche dal carcere, «Dentino» continuava a regnare su Quarto Oggiaro. Era lui attraverso i colloqui con sua moglie Lucia (condannata ieri a dieci anni) a governare il mercato della droga, a stabilire chi potesse vendere e comprare. Ed era lui a pretendere le royalties. «Quarto Oggiaro -diceva - l'ho inventata io».

Quaranta imputati, un processo che sembrava non finisse mai (prima udienza, 25 settembre 2015): forse l'ultimo maxi processo ai clan milanesi. L'inchiesta del pm Marcello Musso era andata a scavare in un mondo in trasformazione, dove vecchi malavitosi come Crisafulli, o Gerardo «Kriminal» Gadaleta, o Antonino Paviglianiti, avevano a che fare con una generazione di balordi rampanti: come quel Francesco «Ciango» Castriotta, che poi venne scarcerato per priapismo, si diede alla fuga ed è stato catturato solo pochi mesi fa.

La sentenza accoglie solo in parte le richieste della Procura: in tutto i giudici distribuiscono 182 anni di carcere, ma dieci imputati vengono assolti con formula piena, e molti si vedono cancellare una parte delle accuse. Ma a spiccare, e a lasciare visibilmente perplesso il pm Musso, è la decisione del tribunale di concedere le attenuanti generiche praticamente a tutti gli imputati, compreso il boss Crisafulli: che nonostante la gravità dei comportamenti che la sentenza gli attribuisce, grazie a questa concessione si vede ridurre la pena da trenta a vent'anni.

In alcuni casi, nonostante la caduta di parte delle imputazioni, i giudici vanno giù ancor più pesanti dell'accusa: è il caso di Domenico Brescia, soprannominato «il sarto dell'Inter» perché riforniva di abiti firmati i giocatori della squadra nerazzurra, e nel frattempo trafficava in stupefacenti: Musso aveva chiesto per lui sette anni di carcere, il tribunale gliene infligge otto. Mentre tra le assoluzioni spicca quella di Mario Tatone, unico ancora in vita della famiglia omonima. Erano i Tatone, secondo le intercettazioni, ad essere stati indicati da Crisafulli come i suoi rappresentanti nello spaccio sulla piazza di Quarto Oggiaro. Nonostante la benedizione del vecchio boss (o forse proprio a causa di essa: chissà) i Tatone fecero una brutta fine. Prima venne ammazzato Emanuele, il più fragile della famiglia; poco tempo dopo, a novembre 2013 toccò a Pasquale, il duro del clan. Appena un mese fa, l'età e gli acciacchi hanno portato via anche la matriarca, mamma Rosa, donna piccola e d'acciaio. Mario adesso è libero: ma è solo.

«L'impianto accusatorio ha retto», dice il pm Musso, sottolineando come le assoluzioni riguardino posizioni minori. D'altronde è stata una inchiesta lunga e faticosa, e lungo è stato il processo. Così le vicende che condanne e assoluzioni chiudono ieri sono ormai risalenti ad anni addietro, quando vecchia e nuova mala cercavano ancora un punto di equilibrio. Ora i vecchi sono al tramonto, i nuovi sono quasi tutti in galera. A Quarto Oggiaro regna una sorta di anarchia, il quartiere è diventato una terra di nessuno dove chiunque può permettersi di fare la voce grossa, e persino Dentino ha dovuto subire il sanguinoso oltraggio della uccisione di suo fratello Franco. Nella deregulation si fanno largo senza sforzo nuovi aspiranti boss, quasi tutti venuti da oltreconfine. Il problema è che fino a qualche mese fa, da spartire c'erano i resti di un mercato da tempo in crisi. Ora il ritorno in grande stile dell'eroina, la riapparizione dei tossicomani che vagano in crisi d'astinenza, dicono che il business è di nuovo fiorente, e che può tornare - come negli anni Ottanta - ad accumulare profitti imponenti.

Chi sarà a impadronirsene, ancora nessuno lo sa.

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