Cultura e Spettacoli

I nostri incubi peggiori? Abitano a Brasilia

I nostri incubi peggiori? Abitano a Brasilia

Per chi conosce l'opera di Franz Krauspenhaar, leggere il suo nuovo romanzo, Brasilia (Castelvecchi), potrebbe apparire spiazzante. A partire dal titolo, ci sembra quanto meno particolare che uno scrittore tanto legato nel suo immaginario alla sua Milano si sia spostato così lontano, addirittura cambiando continente, in una metropoli che siamo quasi certi l'autore non conosca direttamente. Ma è necessario rinunciare alle proprie idee, attenerci a quanto leggiamo. Brasilia, nel libro, è una città archetipo - non tanto, o non solo, lo spazio scenico di una vicenda, ma un luogo, per così dire, ideale. Brasilia è il mistero; una città doppia: la nuova e modernissima capitale, con la sua architettura futuristica, e ciò che dietro quel lustro di novità si nasconde (non solo le favelas, ma proprio il suo enigma demonico). È con questo doppio che fanno i conti i personaggi del libro: Ernesto, un figlio (il giornalista che al principio è in Italia, e guarda caso a Milano), e suo padre Juan, che lo prega di tornare in Brasile perché deve svelargli segreti che li riguardano.

Diversamente da altri suoi romanzi, qui Krauspenhaar ha eliminato, nonostante la narrazione in prima persona, qualsiasi digressione riflessiva. I capitoli sono brevi, la scrittura veloce e scarnificata, la presenza dei dialoghi molto frequente, come avesse voluto adattare lo stile alla cospicua quantità di fatti che racconta.

Non svelerò tutti i segreti che si scoprono in questo atipico noir. Vorrei invece riflettere su quella doppia natura della città e su quei due personaggi (padre e figlio) che abitano la narrazione. Credo che Ernesto e Juan, così come le due Brasilia, siano le facce di una stessa medaglia; che i due personaggi non siano altro che la stessa persona, o che l'uno non sia che il peggiore incubo dell'altro. Il vero motivo per cui il figlio è stato richiamato in Brasile da suo padre era a ben vedere un modo per ricongiungere quelle due parti che ormai non si identificavano più («Chi era mio padre, in ultima analisi? Non solo non lo riconoscevo più, ma ne vedevo crescere continuamente, come un tumore maligno, l'escrescenza di un'identità multipla»).

Quel ritorno alle origini (il viaggio alla doppia Brasilia e il ricongiungimento con un padre di cui non si avevano più notizie da mesi) non è che il necessario incubo da attraversare per tornare a essere se stessi.

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