Cronaca locale

"L'esempio di papà spesso lontano da casa per battere i terroristi"

In carriera, a 34 anni già commissario capo: "Presto nessuno ci distinguerà dagli uomini"

"L'esempio di papà spesso lontano da casa per battere i terroristi"

«Milano è una Firenze moltiplicata per dieci». Detto da Rosy Rubinaccio, fiorentina, commissario capo, 34 anni, in servizio al commissariato Centro di piazza San Sepolcro, fa una certa differenza. Lei, tipo energico ed entusiasta, la polizia l'ha scelta per passione vera. Che le avrà pure instillato papà, sovrintendente capo della Digos in Toscana, ma che le viene soprattutto da dentro. Una giovane donna che - per carisma e attitudine al comando - fa la differenza in un ambiente un tempo di assoluto dominio dei maschi.

Figlia di un poliziotto di origini campane, madre romagnola con discendenze austriache direttrice di un negozio. La moda non faceva per lei? A guardarla non si direbbe proprio. Non è che abbiamo davanti una di quelle donne che vogliono fare «le dure a tutti i costi»?

«I miei genitori mi sono sempre stati molto vicini, ma non hanno mai travalicato le mie scelte. Ho vissuto il romanticismo e l'integrità del mestiere perché papà, occupandosi di terrorismo, è mancato da casa per molto tempo. Non gli ho mai chiesto nulla, non mi ha mai raccontato nulla e anche attraverso questi silenzi sono cresciuta nella serietà di questo lavoro. Perché servono persone serie, oltre che poliziotti. Parlo di serietà verso la gente, la professione, i colleghi. Dopo la laurea nel 2007 ho fatto pratica in uno studio legale per due anni. Poi la vita ti prende per mano e un po' per volontà, un po' per passione e tanta ostinazione ho affrontato il concorso per entrare in polizia e fino al 2011 sono rimasta in accademia».

Un'esperienza bellissima, da college. Poi arriva il difficile.

«Questo mestiere si capisce affrontandolo perché quello che ti raccontano è, appunto, solo racconto. Quando sono arrivata Milano ho capito che non si può e non si devono mettere limiti ai propri sogni, alle proprie aspettative. Dopo una prima esperienza come funzionario in Centrale operativa, alle «Volanti», sono stata al commissariato Bonola e lì ho capito cosa volevo veramente».

Racconti.

«Voglio continuare a crescere, ma non levatemi dalla piazza, dall'ordine pubblico. So che molti colleghi lo vivono con sofferenza. Invece io... Se sono in ferie e so di un servizio a cui mi sarebbe piaciuto partecipare, sto male. La polizia dà stimoli continui e sempre diversi: è come avere sempre tutte le luci che si accendono davanti. Non so se sia il mestiere più bello del mondo, ma basta che sia il più bello per chi lo fa e per me è così. Secondo me arriveremo a un momento in cui non ci accorgeremo più se il poliziotto è uomo o donna».

Qual'è il valore aggiunto che una donna può offrire in polizia?

«Trovo che le donne, con tutto il rispetto per i colleghi, siano più risolute e pratiche nel decidere. Inoltre la sensibilità femminile in molti contesti è meglio di quella maschile. Sia chiaro, non sto facendo una critica, ma parlo di una tipicità, della natura: noi abbiamo insita la capacità trasversale di dare un apporto con un piglio diverso».

Un esempio concreto?

«In ordine pubblico capita spesso di dover prendere decisioni veloci. Nella mia testa la prima cosa che mi dico è scegliamo il male minore. La soluzione perfetta nessuno la troverà, mai. Così tendo a isolarmi 20 secondi. E mi dico: Ok Rosy, pensa: cosa devi fare? Cosa preferisci fare? Scegli. E poi decido. L'importante è che la scelta sia dettata da un ragionamento logico, sostenibile e ovviamente lecito».

Trova che la gente sia cambiata come atteggiamento nei confronti della polizia?

«È aumentata la voglia di sicurezza da parte dei cittadini. Ci si avvicinano mostrando di aver compreso che bisogna essere controllati e questo è un grosso risultato per noi. Le persone non sbuffano più se devono aprire la borsa, se usiamo il metal detector. I primi anni di stadio la gente mal digeriva che ci fossero poliziotti e stewart, era come se si sentissero schedati. Invece ora hanno voglia di vedere le forze dell'ordine in mezzo alla strada. Se c'è questo giusto dialogo con il cittadino è perché siamo stati in grado di comprendere questo momento. È faticoso. Ma procediamo risoluti in questa direzione».

E invece le capita di desiderare un cambiamento, naturalmente in positivo, per la polizia di stato?

«Non credo che qualcuno si offenderà se dico che dobbiamo velocizzare l'Amministrazione. C'è un sistema gerarchico molto incanalato, ma in determinate situazioni serve una risposta più veloce. Parlo soprattutto per chi sta per strada e che non svolge un'attività pianificata, come l'investigazione, ma vive l'onda del momento. Chi è per strada, vede e sente, ha una vera e propria esperienza sensoriale. Ma deve anche poter rispondere e parlare e vorrebbe essere ascoltato velocemente. Ci arriveremo».

Vita privata: la vuole una famiglia? Desidera dei figli?

«Si, certamente. Si tratta di desideri compatibili, anche se sono convinta che sia sempre la vita a decidere. Anche queste cose, come il carisma, non si comprano. Però la vita deve essere completa, per essere un buon professionista bisogna essere anche felici».

Ci vuole quindi anche un buon marito, possibilmente?

«Un buon compagno, qualcuno che ti ascolta e ti capisce o fa finta di ascoltarti se hai bisogno di sfogarti. Arrivo da una famiglia che mi ha riempito il cuore prima del cervello. Per me il modello è quello. La famiglia intesa come unione.

Venendo anche da una famiglia modesta - sono stata la prima a laurearmi - non potrei pensare che non ci siano le domeniche, i Natali trascorsi davanti al camino insieme, la cucina che puzza di olio».

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