Controcultura

A "Matrix Prime" ogni leader sfida se stesso

A "Matrix Prime" ogni leader sfida se stesso

Ciò che davvero cambiò la sfida elettorale, oltre vent'anni fa, fu l'introduzione del cosiddetto «confronto all'americana» in tv, in cui i due candidati erano chiamati a dare il meglio per convincere il pubblico a casa, con share sorprendenti, a votare l'uno o l'altro, in particolare quegli indecisi che non sapevano ancora dove mettere la croce. Hanno fatto storia, più della televisione che della politica, i match tra Berlusconi e Occhetto e dello stesso Cavaliere con Prodi. Ogni piccolo dettaglio poteva risultare decisivo: lo sguardo, il colore della cravatta, la mimica facciale, i gesti delle mani.

Del duello avvincente, oggi, sembra non esserci traccia e non solo a causa del sistema tripartito e della sempre più ampia rosa di candidati. Nel «testa a testa» i leader risultano più in preda alla paura che mossi dall'ambizione della vittoria, preferiscono dunque la formula dell'intervista con un giornalista che, per quanto bravo e preparato, non riuscirà a evitare fino in fondo la tentazione del comizio e, talora, dello sproloquio.

D'altra parte questa non scelta finisce per diventare un'ottima chance per anchormen e commentatori. Così Nicola Porro nella settimana pre-elettorale si è portato, per tre giorni, il suo Matrix in prima serata su Canale 5 al limite delle tre ore di trasmissione, coadiuvato da ottimi colleghi chiamati a stuzzicare i candidati sui temi più attuali e scottanti: Matteo Renzi, Luigi Di Maio, Matteo Salvini tra i protagonisti, attendendo il gran finale con Silvio Berlusconi.

Senza entrare in valutazioni di natura politica - ognuno sceglie come gli pare, ci mancherebbe - nelle prime due puntate Renzi è sembrato più a suo agio, nonostante la strada in salita che gli si prospetta. La parlata è fluida, buono il taglio di capelli e dell'abito, decisamente meglio nei panni del segretario che in quelli del capo di governo. Salvini gioca sul personaggio, senza cravatta, look casual da cui spunta un calzino colorato, parlata fluida e diretta alla pancia degli elettori, ostenta grande sicurezza sull'esito finale. Quanto a Di Maio, studia da leader ormai da parecchi mesi, eppure risulta ancora indietro. Non è abituato alle telecamere, lo sguardo è spesso di traverso, tende a non dare risposte precise e talvolta appare sfuggente, non scioglie l'equivoco tra l'anima pericolosamente barricadiera del M5s e l'ambizione a diventare forza di governo.

Ciò che accomuna i tre sfidanti, e in parte anche chi occupa al momento posizioni di rincalzo, è il non riuscire a elevare il tono della politica dai soliti temi di cronaca - lavoro, sicurezza, immigrazione, corruzione. La «nobile arte» della politica oggi non vola più in alto, non fa sognare, non comprende slanci utopistici né propone visioni aldilà del puro e semplice contingente. Un limite a cui dovremo sempre più fare l'abitudine, ma se l'elettorato maturo riesce a farsene una ragione diventa davvero difficile convincere i più giovani che andare a votare non è solo un diritto, ma anche un dovere.

Tra poche ore capiremo meglio a che cosa saremo destinati.

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