Controcultura

"Con la materia oscura vi porto dietro le quinte del nostro universo"

Il fisico italiano guida il Centro di Amsterdam dove si studiano le particelle più inafferrabili

"Con la materia oscura vi porto dietro le quinte del nostro universo"

«Possiamo immaginare l'universo come uno spettacolo teatrale». Il fisico Gianfranco Bertone dice che basta pensare a Shakespeare: «Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori». O a Walt Whitman: «Il potente spettacolo continua, e tu contribuirai con un tuo verso». Il grande spettacolo dell'universo funziona così: «Ci sono i grandi protagonisti che attirano l'attenzione del pubblico, come le esplosioni stellari, i buchi neri e le meravigliose nebulose in cui vengono forgiate le stelle. Poi ci sono le stelle ordinarie, nel ruolo dei comprimari, e tutta una serie di figure minori, come pianeti, comete e asteroidi, ad arricchire la sceneggiatura. Quello di noi esseri umani è un cameo, a spettacolo già iniziato da un pezzo; ma allo stesso tempo abbiamo il ruolo di spettatori. È per questo che il fisico americano John Wheeler propose di parlare di noi esseri umani come di partecipanti». E poi c'è un ultimo elemento, quello che sta a cuore a Bertone, che ad Amsterdam coordina il Centro di eccellenza in Gravitazione e Fisica astroparticellare: «La materia oscura. Che però non andrebbe annoverata nel cast degli attori, ma costituirebbe il palcoscenico, la struttura di supporto che rende possibile lo spettacolo cosmico». Per scoprire che cosa sia, come sia fatta (e se ci sia), bisogna quindi andare Dietro le quinte dell'universo, come suggerisce il titolo del suo libro, che è già stato pubblicato in Gran Bretagna, Stati Uniti, Olanda e Francia e ora arriva anche in Italia (Carocci, pagg. 170, euro 16). La Fisica astroparticellare, quella che Bertone studia ad Amsterdam, è «l'applicazione di metodi e teorie della fisica delle particelle all'astrofisica e alla cosmologia». Il lavoro di questo 42enne cervello italiano trapiantato in Olanda è andare a caccia della materia oscura.

Davvero si può andare «dietro le quinte dell'universo»?

«Non solo si può. È proprio il compito della scienza avventurarsi oltre il limite di ciò che conosciamo, per raggiungere livelli di comprensione sempre più profondi dell'universo e del ruolo di noi esseri umani».

Che cos'è la materia oscura?

«Una misteriosa forma di materia che sembra permeare l'intero universo. È circa cinque volte più abbondante della materia normale, fatta di atomi, di cui siamo composti noi e tutto ciò che ci circonda».

Perché è così importante scoprire se esista davvero?

«Senza una chiara rivelazione della materia oscura in laboratorio la cosmologia moderna resta incompleta, perché si fonda su quella che al momento è una mera congettura».

In che senso è «l'impalcatura invisibile» dell'universo?

«È grazie alla forza di gravità esercitata dalla materia oscura che le galassie si sono formate e sono tenute insieme. Se, per magia, potessimo farla sparire da una galassia come la nostra, le stelle che la compongono schizzerebbero via come proiettili nello spazio intergalattico...».

Quali sono le sue proprietà?

«In realtà ha proprietà molto semplici. Potremmo dire che basta che essa abbia una massa totale superiore a quella della materia che conosciamo, e che non interagisca con nient'altro nell'universo».

Sembra quasi facile.

«Il problema è costruire dei modelli teorici che permettano di spiegare come venga prodotta nell'universo, e capire che tipo di esperimenti siano necessari per identificarla. Riuscirci permetterebbe di capire se e come è possibile estendere il modello standard, e di avventurarci nella terra incognita della fisica fondamentale».

Come ci si orienta in questa terra incognita?

«I fisici si comportano un po' come quegli antichi cartografi che, basandosi su informazioni vaghe e spesso deformate da interpretazioni mitologiche e paure medievali, immaginavano creature mostruose, come nella Psalter Map alla British Library. Ma alcuni di quei mostri si sono rivelati versioni distorte di animali reali. La speranza è che almeno una delle particelle immaginate dai fisici sia reale».

Da quanto tempo va avanti la caccia alla materia oscura?

«Tutto è cominciato all'inizio degli anni '80. Oggi sono coinvolte migliaia di scienziati in tutto il mondo».

Come avviene la caccia?

«Su molti fronti, e con molte armi diverse. Ci sono quelli che cercano di acchiappare la materia oscura con esperimenti in laboratori sotterranei; quelli che cercano di produrla nell'enorme acceleratore di particelle del Cern; quelli che cercano i lampi di luce prodotti dallo scontro di particelle di materia oscura...».

Come sono questi laboratori?

«Un esempio perfetto sono i Laboratori nazionali del Gran Sasso: un'eccellenza italiana, di cui andare fieri al pari delle bellezze del nostro Paese. Ci lavora una comunità internazionale di scienziati a caccia di eventi rari, cioè di particelle che sono difficili da rivelare perché interagiscono poco con la materia ordinaria, come i neutrini e appunto la materia oscura».

Perché servono strutture così particolari?

«In un laboratorio normale, le particelle verrebbero inondate dalla radiazione cosmica, una pioggia di particelle provenienti dallo spazio profondo scoperta più di cento anni fa. La roccia sopra i laboratori del Gran Sasso scherma la radiazione cosmica e lascia passare i neutrini e la materia oscura, rendendo così più facile la rivelazione. Ci sono poi rivelatori di neutrini scavati nel ghiaccio dell'altopiano Antartico, o rivelatori di antimateria in orbita intorno alla Terra».

Lei già da bambino sognava di diventare un fisico?

«Ricordo bene quando, ancora piccolo, lessi per la prima volta di Einstein e della teoria della relatività, in un volume dell'Enciclopedia dei ragazzi. La sensazione di meraviglia e di vertigine. Credo che diventare scienziato sia stato un modo per decifrare quella bruciatura, per dirla con Neruda: capirne di più, e provare a riprovare quel brivido».

Tornerebbe in Italia?

«È una domanda che mia moglie e io ci poniamo spesso. Anche lei è docente universitaria ad Amsterdam, si occupa di neuroscienze. Da una parte ci sentiamo cittadini dell'Europa, ma dall'altra ci piacerebbe tornare nel nostro Paese e contribuire alla ricerca scientifica e alla cultura italiana».

Che cosa vi frena?

«A differenza di altri Paesi europei come la Francia, la Germania e la Spagna, l'Italia fa poco per riportare indietro i propri scienziati. Il nostro sistema universitario è troppo chiuso, e soffocato da troppa burocrazia e troppe poche risorse. Probabilmente torneremmo, se trovassimo condizioni di lavoro e di vita comparabili a quelle qui in Olanda».

Ci sono prove indirette dell'esistenza della materia oscura?

«Sì. Ce ne sono tante, spesso indipendenti tra loro, e puntano tutte allo stesso tipo e quantità di materia».

E se le prove definitive non arrivassero mai?

«Questo è purtroppo un rischio inevitabile quando si fa scienza di frontiera».

Perché nel libro dice che entro dieci anni la fisica sarà a una svolta?

«Per più di trent'anni, gli sforzi per scoprire la materia oscura si sono concentrati soprattutto sulle cosiddette particelle Wimp - Weakly interacting massive particle. Grazie agli esperimenti di nuova generazione dovremmo essere in grado di scoprire queste particelle, oppure di escluderne l'esistenza. In entrambi i casi, questo avrà importanti conseguenze per la fisica e la cosmologia».

Non le fa mai paura pensare che tanta parte dell'universo sia composta da materia oscura?

«Come sempre è una questione di prospettiva. Da una parte, le nuove scoperte scientifiche possono farci sentire piccoli e irrilevanti, in un universo che non si cura di noi, fatto in larga misura di una sostanza che non interagisce con la materia che ci è familiare. Dall'altra, ci dicono qualcosa di profondo e di rivoluzionario: siamo fatti di una forma di materia rara, siamo come gemme incastonate in una montagna di oscurità».

In noi non c'è nulla di questa materia oscura?

«No.

Ma, secondo le teorie oggi più accreditate, circa trentamila particelle di materia oscura passano attraverso ogni centimetro quadrato della pagina che state leggendo, e quindi attraverso di voi, a una velocità di circa 200 chilometri al secondo».

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