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Xi, l'imperatore rosso è un americano medio

Da raccomandato a presidente a vita. Storia di un uomo che ha un sogno. Inconfessabile

Xi, l'imperatore rosso è un americano medio

Maggioranza bulgara, si diceva una volta, quando i delegati del partito, allineati e coperti, votavano all'unisono per il capo. Il presidente cinese Xi Jin Ping, che è un comunista moderno e a suo modo «democratico», sa stare al passo coi tempi. Anche se non gli deve essere stato facile scovare due delegati che accettassero - ovviamente a malincuore - di svolgere il ruolo dei «contrari» e altri tre che indossassero, certo di contraggenio, la casacca degli «astenuti». Favorevoli naturalmente tutti gli altri duemilanovocentocinquantotto. Risultato: un botto, un successo fracassante, un plebiscito. E salve anche le apparenze.

E dunque standing ovation, nella Grande Sala del Popolo, per l'uomo che imponendo la modifica della Costituzione, lardellata da quell'antipatico divieto di superare i due mandati presidenziali, si è guadagnato la carica di presidente a vita (volendo). Da oggi, a coronamento della sua ascensione nell'empireo dei padri fondatori della nazione, accanto a Mao e a Deng Xiao Ping, la sua filosofia del «socialismo cinese per una nuova era» entra nel preambolo della Costituzione. Materia di studio per le generazioni a venire.

Il presidentissimo che durante la sua scalata al potere ha spazzato via quasi un milione e mezzo di «tigri» e di «mosche», come lui definiva i grandi e piccoli profittatori del regime (ma anche gente che poteva fargli ombra) è un ingegnere chimico di 64 anni - sposato con una cantante, una figlia che ha studiato ad Harvard - che fa parte di una élite, quella dei «principi rossi»: ovvero i figli e i nipoti dei protagonisti della «Lunga Marcia» di Mao Tse Tung. Suo padre era Xi Zhongxun, un vecchio combattente comunista messo ai margini del partito che gli fece assaggiare anche il carcere, al tempo di Mao, per le sue posizioni poco ortodosse. Deng invece lo stimava, e lo mise a capo delle «zone economiche speciali» per incentivare il decollo industriale e attirare gli investimenti stranieri.

Da «raccomandato» (un raccomandato intelligente, convinto che «volere è potere») Xi ha scalato alla velocità della luce tutte la cariche dirigenziali in seno al partito fino alla nomina, al XVI Congresso nazionale del Partito del 2002, di membro del Comitato centrale. Uomo colto, appassionato di musica e cultura occidentale (Dante, Petrarca, Victor Hugo, Hemingway tra i suoi autori preferiti) Xi Jinping incarna il sogno del cinese medio: somigliare all'americano medio.

Sua, non a caso, la felice formulazione del «Sogno cinese», slogan copiato di sana pianta da quell'«american dream» che sotto sotto, anche se lui ovviamente negherebbe, è il suo modello di riferimento. Il sogno, tra il romantico e l'ideologico, di un mondo (quello occidentale capitalista) di cui condivide senza poterlo ammettere molti valori. Nessuno sa cosa sia concretamente il suo «Sogno Cinese». Ma lo si vede nei fatti. E i fatti parlano della volontà, corroborata dagli obiettivi raggiunti, di proiettare la Cina sempre più in alto nel firmamento delle grandi potenze, al pari degli Stati Uniti, liberando quel grande Paese dai lacci ideologici del passato. Ma conservando l'impianto verticistico del potere. Un socialismo in salsa cinese che coniuga marxismo leninismo, economia di mercato e sviluppo scientifico.

Con un solo uomo al comando: lui.

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