Cultura e Spettacoli

Ecco i pittori che illustrano i dubbi dei cardinali sul Papa

Nel 2016 alcuni porporati criticarono il testo di Francesco sul matrimonio cattolico. Così l'arte segue il loro esempio

Ecco i pittori che illustrano i dubbi dei cardinali sul Papa

Che fine hanno fatto i Dubia, le cinque domande formulate da quattro cardinali a Papa Francesco in merito all'esortazione apostolica Amoris laetitia? Correva l'anno 2016 e il testo pontificio sul matrimonio cattolico apparve a molti perlomeno confuso, ma solo quattro vecchi porporati, suppergiù in pensione ossia aventi poco da perdere, ebbero il coraggio di chiedere, in modo assolutamente rituale e rispettoso, chiarimenti. Esistono ancora l'indissolubilità del matrimonio, il peccato di adulterio, il bene e il male così come indicati da Gesù Cristo e poi da tutti i Santi e da tutti i Papi per due millenni? Oppure il Vangelo non è più valido e liberi tutti? Il Papa non rispose. Di più: rifiutò di ricevere in udienza i quattro firmatari, atteggiamento questo sì irrituale anche perché negli stessi mesi trovò il tempo per incontrare, con gran sfoggio di sorrisi e complimenti, l'abortista massima Emma Bonino e l'anticattolico incallito Eugenio Scalfari. L'anno scorso due dei quattro cardinali sono morti e, nonostante l'ostinazione del tedesco Brandmüller e l'ufficiosa adesione dell'olandese Eijk, oggi dei Dubia non si parla quasi più. Questo nel mondo ecclesiastico. Nel mondo artistico le cose vanno diversamente. Incredibile (per chi conosca lo sprezzante agnosticismo dell'ambiente) ma vero, alcuni pittori italiani hanno recentemente realizzato opere che sembrano far propri i dubbi di quei cardinali umiliati. Senza committenti, men che meno ecclesiastici: loro sponte.

Il caso più spettacolare è quello di Giovanni Gasparro, piccolo principe di una nuovamente grande arte sacra, giovane autore del vasto ciclo pittorico, 18 pale d'altare e due teleri, della chiesa di San Giuseppe Artigiano all'Aquila. Per chi non lo avesse capito, un cattolico supertradizionalista, e aggiungo che abbandonò il ministero straordinario dell'eucaristia siccome non sopportava che l'ostia venisse presa in mano dai fedeli (modalità luterana e post-conciliare). Dopo l'infatuazione bergogliana per Lutero dipinse San Pio V e San Carlo Borromeo difendono il Cattolicesimo dall'islam e dall'eresia protestante, raffigurando il monaco scismatico, dai contemporanei chiamato Porcus Saxoniae per le intemperanze verbali, alimentari ed erotiche, con mostruosi occhi porcini. Ma l'impavido Gasparro, che di sicuro non verrà invitato alle prossime iniziative culturali del Cardinal Ravasi, poteva fare di più e lo ha fatto. Nelle settimane scorse ha completato una tela intitolata sarcasticamente Amoris laetitia, proprio come l'ambigua esortazione apostolica. Sottotitolo e soggetto: San Giovanni Battista ammonisce l'adulterio di Erode Antipa ed Erodiade. Eccola qui la risposta ai Dubia: l'indissolubilità del matrimonio è fissata nel Vangelo e se la Chiesa vuole restare fedele alla Parola di Dio deve mettere in gioco l'osso del collo come fece San Giovanni. Visto l'argomento si rischiava la tetraggine e però il pittore pugliese è riuscito a essere a suo modo divertente, forzando l'espressività dei concubini: Erode Antipa è un vecchio laido ed Erodiade una comare meridionale. Tornando a Lutero, un altro artista disallineato rispetto all'odierno sincretistico andazzo è Sergio Padovani. Conosco personalmente anche il pittore modenese, maestro della pennellata dark, e posso garantire che non lo ha mosso una militanza reazionaria, bensì una semplice constatazione: Lutero non può essere che quello che è stato.

A prescindere dai torti e dalle ragioni, nessuno può considerarlo un campione del cattolicesimo perché nessuno è autorizzato a falsificare la storia. E così in una serie, esposta a Imola, di piccoli ritratti di eretici, parallela a un'altra serie di più grandi ritratti di Santi, Padovani ha molto tranquillamente piazzato una tela intitolata appunto Martin Lutero, eretico. Non è una risposta ai Dubia ma è un Dubia esso stesso il gigantesco lavoro (sei pannelli per un totale di undici metri per tre) che Enrico Robusti espone stabilmente nell'itinerante «Museo della Follia» curato da Vittorio Sgarbi, fino al 27 maggio nella ex basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, Napoli. Intitolato In questo bar non si fa credito, mette in scena la bancarotta morale della civiltà occidentale: sulla tolda di un'imbarcazione in balìa del mare in tempesta, un po' Titanic e un po' boschiana nave dei folli, il pittore parmigiano fa ballare donne nude e donne col burka, immigrati africani e pazzi nostrani, abortisti e transessuali. E chi benedice questo delirio la cui diabolicità è confermata dalla presenza di un lungo e grosso serpente verde? Un Papa. Non che somigli a Papa Francesco (Robusti non è mai così diretto), ma, con la veste bianca e la mitra aurifregiata, sembra proprio un Papa.

Per secoli, basti pensare alla Cappella Sistina o alla caravaggesca Morte della Vergine, sono stati gli ecclesiastici a redarguire quegli spudorati dei pittori, mentre oggi i ruoli si sono capovolti, adesso sono gli artisti a mettere paletti e a chiedere chiarimenti.

Ha tutta l'aria di essere una svolta storica.

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