Cultura e Spettacoli

Miart cresce e arriva anche Gagosian

La fiera d'arte milanese diventa sempre più internazionale

Miart cresce e arriva anche Gagosian

Avrà avuto ottimi argomenti Alessandro Rabottini, al suo secondo Miart da direttore, per convincere Larry Gagosian a partecipare a una fiera italiana. Senza togliere nulla alle altre gallerie, tutte di qualità, la notizia è che la più potente multinazionale dell'arte mondiale con sede anche a Roma - ha accettato di esserci, segno che il nostro mercato sta superando la condizione marginale che nell'ultimo decennio ha rappresentato il suo primo ostacolo. Non sentiamo a credere che la prima ragione è certamente Milano, il suo entusiasmo contagioso, la forza trainante, l'ottimismo di una città concreta che marcia a ben altra velocità rispetto al Paese. Fino ad alcuni anni fa Miart era il tipico esempio di prodotto «né carne né pesce»; prima Vincenzo De Bellis, poi Rabottini hanno lavorato con coraggio, ottica internazionale e stile italiano. Oggi la rassegna di Milano City si guadagna il primo posto in Italia. Affogata Bologna nella mediocrità del secondo mercato, troppo di nicchia Torino, a Miart si ritrova un'ampia fascia di collezionismo, senza ricadere nello snobismo o, peggio, nel tutti dentro solo per fare cassa.

I numeri parlano chiaro: 184 gallerie, di cui 75 straniere, provenienti da 19 nazioni. Il contemporaneo la fa da padrone ma il moderno non è affatto trascurato. Le tendenze più alla moda s'incrociano con i grandi nomi e con alcuni importanti recuperi storici. Diversi stand optano per la soluzione «mostra personale»: il californiano Matt Mullican da Mai 36, un artista di culto ancora poco valorizzato da noi, Carsten Hoeller da Massimo De Carlo, la rivelazione David Medalla, filippino approdato al successo a oltre 70 anni e valorizzato da Astuni. Tra gli italiani da tenere d'occhio l'architetto radicale Gianni Pettena da Bonelli, lo scultore Mauro Staccioli, da poco scomparso, da Il Ponte, Salvo, il cui mercato è in ascesa, rappresentato da Claudio Poleschi.

Se lo spazio ai cosiddetti emergenti ha sempre un che di azzardo, molto interessanti i confronti generazionali tra artisti di epoche diverse (ad esempio Alberto Burri da Mazzoleni vs. Sterling Ruby da Gagosian) dove si esalta la necessaria impronta curatoriale della fiera. Oppure, a proposito di riscoperte, APalazzo presenta l'opera, misconosciuta, del cineasta sperimentale Jonas Mekas e Gian Enzo Sperone studia il polimaterismo di Enrico Prampolini, transitato dal Secondo Futurismo ai primordi dell'informale. Tra i progetti speciali, Alessandro Papetti espone un'installazione pittorica allo stand di Intesa SanPaolo.

In più, c'è Art Week: le mostre sono tante e toccherà scegliere. Consigliamo il nativo americano Jimmie Durham alla Fondazione Pini, la messicana Teresa Margolles al PAC, i cinesi ai Frigoriferi Milanesi.

Impensabile non partecipare alla kermesse che può oggi competere con le migliori fiere internazionali.

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