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«Essere ghiotti non è un male, anzi: ci aiuta a scegliere cibo di qualità»

Lo chef stellato: «Per me non è mai stato un peccato. Lo è diventato in un periodo in cui le pietanze non avevano la finezza di oggi»

Stefania Vitulli

Non è solo uno chef stellato, non è solo uno tra i più giovani della sua categoria, non solo ha un ristorante a Cornaredo, alle porte di Milano, che lo ha reso famoso nel mondo tanto da diventare uno dei 50 ambasciatori della nostra cucina all'estero. Davide Oldani ha anche inventato una nuova cucina, chiamata cucina pop, che ben spiega in uno dei numerosi volumi che ha firmato, Il giusto e il gusto. L'arte della cucina pop (Feltrinelli). Cucina pop che, a partire dalla mitica cipolla caramellata e dagli ineguagliati risotti, definisce così: «Amalgamare l'essenziale con il ben fatto, il buono con l'accessibile, l'innovazione con la tradizione». Ha fatto quindi la sua piccola rivoluzione ed è perciò a lui che chiediamo se anche il peccato della gola ha subito sostanziali modifiche.

Esiste ancora un peccato chiamato gola?

«Per come lo intendo io, non è mai stato un peccato, nonostante sia stato annoverato tra i sette peccati capitali. Ma lo è diventato in un periodo della storia umana in cui il cibo non aveva la finezza, la leggerezza e il gusto che ha oggi».

Oggi il cibo che cos'è?

«Un modo per stare bene. Ma arrivarci ha richiesto un processo complesso».

Quindi oggi un peccato di gola cos'è?

«Oggi quando qualcosa ci fa gola significa che vogliamo mangiarne in quantità superiore al normale o in un momento in cui non dovremmo. Tuttavia siamo controllati, non forzati da necessità e consumiamo quell'alimento con criterio, alla ricerca di un benessere. Così la gola, per paradosso, diventa la nostra guida sulla qualità del cibo».

Niente più sensi di colpa, quindi?

«Si mangia ormai per fortuna sempre più per desiderio, i tempi in cui si mangiava per fame, ci si abbuffava perché c'era poco o niente e si doveva approfittare del momento, sono finiti. Questa gola ponderata non dovrebbe portare sensi di colpa».

Gli italiani come stanno messi a «gola ponderata»?

«In Italia siamo in un momento particolarmente positivo: rispettiamo il cibo molto di più rispetto al passato e l'occhio punta alla qualità e non alla quantità. Anni fa si diceva: Mangiare tanto del buono e poco del cattivo. Oggi sappiamo mangiare poco del buono e il buono si può riconoscere, grazie alla tracciabilità. Sappiamo che il buono è anche il pulito, il protetto, l'incontaminato. Questo è il nostro cambiamento contemporaneo rispetto alla gola: il buon cibo ci fa stare bene fisicamente e psicologicamente e dobbiamo cercarlo sempre di più».

Qual è allora un peccato, oggi, vicino alla vecchia idea di gola?

«Mangiare senza capire il cibo, ovvero abbuffarsi. Ma anche fare diete non corrette».

Ovvero?

«Le diete devono essere intelligenti, che siano mediterranea, iperproteica o dissociata. Vanno fatte con consapevolezza, altrimenti conducono al peggiore dei peccati di gola: la diffidenza verso il cibo. Il cibo è possibilità di prevenzione dalle malattie e fonte di benessere. Viverlo con diffidenza o problematizzarlo, come accade a volte per anoressia o bulimia, è uno stato mentale pericoloso. Anch'io una volta alla settimana faccio il digiuno, ho costruito la mia dissociata, faccio sport: ma questo non mi vieta di indulgere alla gola, quando ne ho voglia, e di stare comunque bene».

Cibo e cucina sono diventati anche feticci mediatici: questo è un peccato?

«Il cibo non è una borsa firmata e dare visibilità al cibo non vuol dire averlo ben consumato. I social, ad esempio, servono a dare informazioni corrette, a mostrarci belle immagini, ma non devono mai essere messi in competizione con l'esperienza diretta del piatto. Vedere non è mangiare, un piatto bello è un buon inizio ma non è per forza buono. Bisogna provarlo, sempre».

La competenza sul cibo però in generale è aumentata.

«In questo i media hanno aiutato, sì. Hanno ampliato la nostra possibilità di scelta, ci hanno permesso di arrivare a conoscere ingredienti di cui non sospettavamo neppure l'esistenza».

Come la polvere di insetto.

«Che si sta facendo strada in tutte le cucine - non nella mia - che non ho mai provato, che quindi non posso giudicare e che considero ancora, oltre che una sfida, un peccato di gola».

Ma il suo peccato di gola personale qual è?

«Sicuramente il gelato alla stracciatella. Fatto con cioccolato puro al 70 per cento, burro di cacao, e latte fresco non pastorizzato.

Magari con l'aggiunta di un cucchiaio di miele di acacia o di castagno».

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