Controcultura

A Cuba l'arte è "libre". E sogna i musei americani

Atelier, gallerie, biennali ufficiali e alternative. Così i giovani dell'Avana coltivano la libertà

A Cuba l'arte è "libre". E sogna i musei americani

Dodici anni fa - Fidel Castro era malato, da tempo non compariva in pubblico, qualcuno lo dava per spacciato: sarebbe durato ancora un decennio - le strade principali di ingresso a L'Avana erano tappezzate di cartelli tipo «Siempre alta la guardia» e «Hasta siempre». Lettering squadrato, colori primari, iconografia di rito. Oggi, sbiadita anche la stella del Che, l'87enne Raúl, fratello e successore di Fidel, annuncia il passaggio di testimone: l'Assemblea Nazionale sceglierà il nuovo presidente il prossimo giovedì, dopo quasi 60 anni filati di governo castrista. Rivoluzione? No, Raúl resterà primo segretario del Partito Comunista - e dunque al vertice di ogni decisione - fino al prossimo congresso, che sarà nel 2023, quando il líder (non certo máximo) avrà 92 anni. A Cuba le cose cambiano, ma serve pazienza.

Le gente dell'isla ne è dotata: si mette in coda davanti appositi uffici per comprare le schede telefoniche necessarie alla connessione web del cellulare, attiva solo in alcune vie della capitale (non sono indicate, ma le riconosci dai crocicchi di ragazzi che smanettano con le cuffie in testa: postura universale). Attende ore il turno in banca per cambiare la moneta nazionale in CUC, il chavito usato come moneta per gli scambi commerciali. E, specie se il caldo non dà tregua, fa la fila da Coppelia (se avete in mente il film cult Fragola e Cioccolato: sì, la gelateria è ancora in auge). A prima vista, L'Avana si muove lenta tra i passi molli dei turisti alla ricerca del locale dove prendersi mojito & cohiba «alla Hemingway» e vecchie almendrones colorate che sfrecciano sul Malecón, davanti alle case coloniche rovinate dalla salsedine dell'oceano. Oltre la linea dell'orizzonte, la Florida.

Invece, come spesso accade nei periodi di transizione, è nei dettagli che s'incista il cambiamento. La Habana Vieja è rinata grazie al piglio di Eusebio Leal Spengler, intellettuale 75enne stimato anche dalla diplomazia straniera residente a Cuba. Il suo piano di riqualificazione ha punteggiato la città di locali, ristoranti e negozietti gestiti da cooperative private che vendono souvenir. E tante, tante gallerie. Sono spazi come Factoria Habana, in calle O'Reilly, suggestivo palazzo di tre piani appena ristrutturato in stile urban-chic: quando lo visitiamo, la quarantenne Diana Fonseca sta lavorando alle sue sculture per l'opening della mostra. A giugno esporrà ad Art Basel, perché il mercato chiama. La Galería Victor Manuel, a un passo dalla cattedrale, ospita i quadri iperrealistici del 32enne Luis Alberto Saldana Soto: hanno incontrato il gusto di collezionisti messicani e il prossimo mese saranno in mostra a Città del Messico. «Anche i canadesi sono ottimi acquirenti», ci dice. Al Barrio Chino, sempre in centro, la Galleria Continua - quartier generale a San Gimignano, in Toscana, e diramazioni fino a Pechino - ha preso una vetrina significativa.

L'Avana sa come solleticare gli appetiti artistici più esigenti: il Centro d'Arte Contemporanea Wifredo Lam, ad esempio, di coloniale ha solo le sale. Le mostre puntano sul «contemporaneo spinto»: ora è in corso «Going Away Closer», collettiva nippo-cubana dove la videoart made in Tokyo dialoga con le opere «politiche» di un cubano come Reynier Leyva Novo, che prende abiti dell'esercito e vestiti civili per ricreare a terra la sagoma - sfilacciata, sgualcita - dell'Isola. La Fabrica de Arte è in un quartiere più defilato, ma è qui che pulsa l'anima artsy-glam della città. Un tempo sede di produzione di tabacco, oggi ospita le mostre più cool, live music ed eventi: siamo a L'Avana, potremmo essere a Miami. Tra un cocktail e l'altro, trovi foto, performance (come quelle di Cirenaica Moreira, che ha chiesto a 60 sconosciuti di baciarla) o i dipinti pop di Carlos Quintana: in mezzo, negozi che vendono costose borse realizzate con materiale di riciclo (marchio: Clandestina). L'arte contemporanea è un volano e una felice eccezione nell'economia stagnante del Paese: i giovani talenti sperano di essere notati da qualche collezionista straniero, pronto a pagare loro un biglietto aereo «per vedere il mondo». E il mercato dell'arte, là fuori, sta al gioco, coccolando questi artisti tecnicamente preparati e dai prezzi ancora accessibili per il portafoglio occidentale.

Spingendosi ancor più verso la periferia della città, si arriva a quello che fu il primo atelier di Kcho, alias Alexis Leyva Machado, 48 anni, uno dei rari cubani a vantare un posto nelle collezioni permanenti di vari musei americani: oggi è parte di un centro d'arte «organico», cioè statale. Lo chiamano El Mor, acronimo di Museo Orgánico de Romerillo, e i ragazzi ci vengono perché, complice una convenzione con Google siglata in epoca obamiana, la connessione web non è ballerina. Persino qui la commemorazione dei «padri della patria» prende forme inaspettate: Kcho ha firmato un ritratto di José Martí, il rivoluzionario cubano che si batté a fine Ottocento per l'indipendenza dell'Isola, realizzandolo con lamiere di case divelte dagli ultimi, rovinosi uragani. Pare infatti sia colpa di Gustav, Ike e Paloma se l'ultima edizione della Biennale d'arte dell'Avana, uno degli appuntamenti d'arte contemporanea più attesi nel Sudamerica, sia saltata: i soldi destinati all'organizzazione dell'evento - recita la nota ufficiale - sono stati dirottati sulla ricostruzione.

Su Facebook è montata la protesta (costruttiva): gli artisti Luis Manuel Otero Alcántara e Yanelis Núñez hanno lanciato la 00 Bienal Alternativa de La Habana che dal 5 al 15 maggio occuperà appartamenti e gallerie del cuore della città. Mentre scriviamo, il programma va delineandosi così come il crowfunding per sostenere il progetto con libere donazioni.

L'Avana giovane e gagliarda, quella che vede nell'arte un mezzo di pacata espressione di dissenso e soprattutto un ascensore sociale, non sta in coda a guardare.

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