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Aleppo, Israele ammette il blitz "E ora nuova fase con Teheran"

Gerusalemme conferma il primo attacco agli iraniani Armi chimiche, Mosca vieta l'accesso di ispettori a Douma

Aleppo, Israele ammette il blitz "E ora nuova fase con Teheran"

L'apertura di una nuova fase. Con queste parole una fonte militare israeliana di alto livello citata dal New York Times ha definito l'azione aerea con cui nella notte tra l'8 e il 9 aprile scorsi è stata colpita una base iraniana presso Aleppo, nel nord della Siria. È un'implicita ammissione di responsabilità, la prima dopo una settimana dai fatti. Ma anche la conferma che - come già abbiamo scritto sul Giornale - la prossima guerra in Siria sarà quella tra Israele e Iran: e rischia di essere una guerra vera, non i quattro missili anticipati per telefono al «nemico» che non hanno torto un capello a nessuno ma che tanto stanno facendo strillare commentatori e politici più o meno interessati.

«È la prima volta che colpiamo obiettivi iraniani operativi, sia persone che impianti», ha detto la fonte al New York Times, motivando l'attacco come risposta al drone inviato da Teheran lo scorso febbraio nei cieli israeliani (e lì abbattuto) che era stata «la prima volta che l'Iran ha fatto qualcosa contro Israele, senza passare attraverso una forza per procura». Le bombe israeliane sulla base T-4, però, hanno ucciso sette militari iraniani, tra cui un colonnello che comandava l'unità di droni della base in Siria. Un fatto senza precedenti, coerente con le reiterate minacce israeliane di voler impedire «a qualsiasi costo» il dispiegamento di forze iraniane vicino ai loro confini.

Teheran ha risposto ieri con altrettante minacce: Israele «prima o poi pagherà» per le bombe sulla base T-4. Questa inquietante prospettiva è ora al centro delle preoccupazioni di Vladimir Putin, impegnato in un disegno di estensione dell'influenza russa in Medioriente e nel Mediterraneo. Il Cremlino coordina un'alleanza regionale con l'Iran e la Turchia, ma si è anche assunto un ruolo di garante nei confronti di Israele che ora fatica a rispettare. Ieri il ministro degli Esteri di Gerusalemme è stato molto chiaro: «Non vogliamo provocare i russi, abbiamo con loro una linea aperta di comunicazione a livello di alti ufficiali che funziona bene da anni - ha detto Avigdor Liberman -. Ma manterremo totale libertà d'azione. E non accetteremo alcuna limitazione quando si tratta di difesa della nostra sicurezza». Liberman ha concluso indicando le «linee rosse» del suo governo: «Non tollereremo una significativa forza militare iraniana in Siria nella forma di porto o aeroporti militari o di sviluppo di armi sofisticate».

Rimane del tutto aperta anche la questione delle armi chimiche in Siria. Mentre da oggi viene discusso all'Onu il testo di una nuova risoluzione occidentale per indagare sull'uso di queste sostanze proibite, l'attenzione è concentrata su quanto accade a Douma, la località nei pressi di Damasco dove lo scorso 7 aprile c'è stato un attacco chimico che siriani e russi negano. Gli inviati dell'Opac, l'agenzia internazionale per la proibizione delle armi chimiche con sede all'Aia, lamentano di non avere ancora avuto libertà di accesso al villaggio in cui sono chiamati a svolgere indagini. «Motivi di sicurezza», accampano funzionari russi e siriani. Così gli inviati Opac rimangono fermi a Damasco, dove nel frattempo il regime ha organizzato per ora l'incontro con una ventina di testimoni.

«Assad e i russi bloccano il lavoro degli ispettori Opac», denuncia la premier britannica May, mentre gli americani accusano direttamente i russi di avere «manipolato il sito di Douma». Il ministro degli Esteri russo naturalmente nega tutto sdegnato.

E così si continua.

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