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La Crusca boccia il ministero: "Sta cancellando l'italiano"

La secolare istituzione bacchetta il Miur guidato dalla Fedeli: «Dilaga il ricorso a termini inglesi»

La Crusca boccia il ministero: "Sta cancellando l'italiano"

La farina del governo finisce in Crusca. Non siamo al punto da bocciare come incostituzionale l'esecutivo, che peraltro in questi giorni ha poco da eseguire. Ma il senso è quello, anche se in senso lato. E, soprattutto, a latere del solito malcostume di chi maltratta, o peggio, ignora la lingua italiana. La Crusca nel senso di Accademia che vigila, più del Codacons, più dei Tar, più di chiunque altro, sul buon uso e il buon nome del nostro dire e non dire e sott'intendere, se la prende proprio con chi, fino a prova contraria, dell'Italiano parlato e scritto dovrebbe essere ottimo e affidabilissimo tutore: il ministero dell'Istruzione.

Le parole sono pesanti. L'«adozione di termini ed espressioni anglicizzanti», questa è l'accusa rivolta ai documenti del ministero (carta canta e carta piange) non è più «occasionale, imputabile magari a ingenue velleità di anglocosmesi, bensì programmatica, organica e assurge a modello su cui improntare la formazione dei giovani italiani». Ma non è tutto, il ministero, che oltre che dell'Istruzione lo è dell'Università e della Ricerca, secondo l'Accademia fiorentina è un po' ingrullito, come un laureato fuori giri o come un ricercatore che ha smarrito la retta via del suo compito. L'affondo arriva fino a parlare di promozione dell'«abbandono sistematico della lingua italiana e delle sue risorse nei programmi formativi» dei giovani. Così la secolare istituzione presieduta dal professor Claudio Marazzini, «rivolge un appello ai responsabili del Miur, affinché si usi maggiore rispetto nei confronti della lingua e della cultura italiana».

La Crusca sobbolliva da tempo, ma la goccia che le ha fatto traboccare il vaso dell'indignazione è stato il «Sillabo per la scuola secondaria di secondo grado» pubblicato lo scorso 14 marzo dal ministero, un documento per promuovere l'educazione all'imprenditorialità nelle scuole statali secondarie di secondo grado. Secondo il Gruppo Incipit della Crusca che si occupa di esaminare e valutare neologismi scelti tra quelli impiegati nel campo della vita civile e sociale, è sufficiente scorrerlo per verificare «la meccanica applicazione di un sovrabbondate insieme concettuale anglicizzante, non di rado palesemente inutile, a fronte dell'italiano volutamente limitato nelle sue prerogative basilari di lingua intesa quale strumento di comunicazione e di conoscenza». Insomma, «per imparare a essere imprenditori non occorre saper lavorare in gruppo, bensì conoscere le leggi del team building, non serve progettare, ma occorre conoscere il design thinking, essere esperti in business model canvas e adottare un approccio che sappia sfruttare la open innovation, senza peraltro dimenticare di comunicare le proprie idee con adeguati pitch deck e pitch day». Con tanti saluti a Dante Alighieri, nume tutelare dell'Accademia.

Il ministro Valeria Fedeli, però, respinge piuttosto stizzita alle accuse ironizzando addirittura sull'uso, da parte dell'Accademia, del vocabolo «incipit». «Sono certa - ha detto - che anche se avete scelto come nome Gruppo Incipit continuerete a promuovere, come sta facendo il Miur, il valore della lingua italiana».

La disputa, of course, non è finita qui.

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