Cronaca locale

Una giornata a spasso nella città del Salone Temendo di esser Fuori

Racconto (semiserio) tra modelle sfinite, code per un water e per la cotoletta «raster»

Una giornata a spasso nella città del Salone Temendo di esser Fuori

Se non sei Fuorisalone, «sei fuooooorrriiiiiiiii!!!», come diceva Flavio Briatore ai concorrenti del talent show per aspiranti manager destinati, almeno secondo lui, a un posto in banca o sotto i ponti della tangenziale. Il quale Briatore, c'è da scommetterci la casa con dentro tutti i mobili, a qualche «evento» del «Fuorisalone» presenzierà, statene pur certi.

Insomma, funziona così: o sei dentro il Salone del mobile, oppure sei dentro qualcosa che fisicamente ne è fuori ma di fatto ne è inevitabilmente parte, corollario, frangia, truciolo. Tutto è Salone o Fuorisalone, in questi giorni, in questa città. Lo dimostra la cronaca della mia giornata di ieri che adesso riassumo per sommi capi.

Alle 9,30 esco di casa e vedo, di fianco al cancello del condominio, accanto a una rientranza del muro, un gruppetto di persone. Due o tre signore con i tacchi alti e la fronte bassa, uno con la faccia e la crapa pelata da architetto, due palesi laureandi in Design (come li ho riconosciuti? dal modo di muoversi, artatamente dinoccolato), uno che portava giù il cane, una massaia con il carrello della spesa. Tutti a osservare con estrema attenzione qualcosa buttato lì apparentemente a caso. Infatti era buttato lì a caso: si trattava di rifiuti ingombranti, un bidet (anzi, mezzo bidet), due sedie sfondate, un comodino senza cassetti. Non lo sapevo, ma quello che pochi minuti dopo sarebbe stato dichiarato chiuso dall'intervento dei netturbini era un evento del Fuorisalone. Chi me l'ha rivelato? Un mio collega che, mogio mogio, quando sono arrivato al Giornale mi ha detto sottovoce: «Stamattina ho avuto tanti di quei casini che non ti puoi immaginare... Pensa che ho dovuto perfino saltare un evento in via...» e ha sibilato il nome della mia via. Avrei voluto consolarlo dicendogli «guarda che se passi la prossima settimana, più o meno alla stessa ora, si replica, con i rifiuti ingombranti». Ma poi ho avuto pietà del suo dolore.

In pausa pranzo, verso le 13,30, vado al solito posto a mangiare un boccone. Una ressa bestiale. Spiccavano una dozzina di giapponesi con le macchine fotografiche d'ordinanza, una squadra di indiani con turbante e una modella conturbante e basta, tutto attaccato, come il tailleur alle forme del suo perfetto design. Perché tutta quella gente? Semplice: «Oggi Fuorimenù» recitava un cartello all'entrata. Entro, spinto unicamente dalla forza dell'abitudine. Mi metto in un angolino rimasto miracolosamente libero e leggo sul suddetto menù: «Orecchiette brand identity», «cotoletta raster», «tiramisù branding» (nei giorni normali ti dicono che è «fatto in casa»). Mi passa la fame e prendo, altrove, il terzo caffè, desalonizzato nel senso di decaffeinato.

All'ora dell'aperitivo, chiamiamo il ragazzo del bar. «Oggi c'è una sorpresina», annuncia al telefono. La sorpresina sono alcune tartine invero molto glam a forma di lampada da tavolo o di piattini per il sushi. Meno male che ho chiesto una birra media invece del martini, altrimenti avrei dovuto ingollare l'oliva cubica.

Alle 22,30 esco dal Giornale. Fermamente intenzionato a correre a casa per farmi un bel piatto di basici spaghetti al pomodoro. Prendo al volo il tram e chi ti rivedo? La modella della pausa pranzo. Sola, con l'aria stanchissima e in maglietta e jeans. Sta sfogliando distrattamente alcuni depliant che pesano più di lei. Le siedo vicino. «Ah, Salone del mobile...», attacco. «Sì, che stress, è tutto il giorno che giro come una trottola...», sbuffa, ma sorridendo. Non mi manda al solito posto, quindi calo l'asso, la sublime massima del maestro Totò. «Sa, signorina, la donna è mobile, e io sono mobiliere». Ride.

Le sue labbra, chissà perché, mi ricordano una poltrona.

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