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Se Grasso si rimangia il premio antimafia al Cav

La memoria corta dell'ex presidente del Senato

Se Grasso si rimangia il premio antimafia al Cav

Precisa, ma in fondo conferma. Smentisce, però ribadisce. Dice che giammai lui disse, e rimanda all'audio, ma quell'audio invece dice che, ahilui, al fatidico quesito: «Premio speciale per la lotta alla mafia a Berlusconi?» lo sventurato (sempre lui) rispose «Sì». A Berlusconi. E pure all'allora Guardasigilli Alfano.

Povero Pietro Grasso, all'epoca procuratore nazionale antimafia, poi presidente del Senato Pd, e ora senatore e leader di Leu. Quella voce dal sen fuggita ai microfoni della Zanzara in un dì di maggio del 2012 lo perseguita. La storia del premio che persino l'esperto antimafia Grasso avrebbe attribuito al Cavaliere per il sostegno legislativo in tema di sequestro dei beni dato è ritornata in auge in questi giorni. L'hanno citata ieri, sul Giornale, Roberto Maroni e Renato Schifani, entrambi intervistati sull'attività antimafia dei governi Berlusconi, altro che pressioni dei boss. E così per Grasso l'incubo di quel «sì» al premio è ricominciato. Come l'incubo di precisare. «Ritorna in questi giorni - ci ha scritto - da parte di molti esponenti di Forza Italia l'equivoco del fantomatico premio speciale a Berlusconi per la lotta alla mafia che avrei assegnato da Procuratore nazionale antimafia. Nel corso di una puntata della Zanzara del 2012, trasmissione sempre sopra le righe, mi venne chiesto ironicamente se l'ultimo governo Berlusconi meritasse un premio e io risposi, con onestà intellettuale, che solo sul lato del sequestro e della confisca dei beni furono adottati miglioramenti nel 2008 (il passaggio della competenza alle Dda e alla Procura nazionale), ma allo stesso tempo elencai i temi sui quali ero, da magistrato, ancora in attesa di modifiche normative: autoriciclaggio, norme contro la corruzione, aggravamento dei reati fiscali e voto di scambio politico-mafioso. Nessun premio speciale, quindi, se non da parte dei conduttori della trasmissione. Dispiace che a distanza di anni venga ancora utilizzata da molti esponenti politici una notizia già smentita molte volte».

Povero Grasso, costretto a smentire, e ad autosmentirsi, rimangiandosi quel premio per la lotta alla mafia al «nemico», al Cavaliere. La sua «onestà intellettuale», come dice lui stesso, gli suggerisce che sì, quel riconoscimento, nei termini in cui era avvenuto, era dovuto, e al diavolo la gogna partita immediatamente anche con attacchi personali (il fratello di Paolo Borsellino, Salvatore, lo accusò addirittura di aver fatto quell'elogio perché era diventato procuratore antimafia al posto di Caselli proprio grazie a una legge del governo Berlusconi). Ma la ragion politica, e politico abile Grasso è stato sempre anche in toga, gli diceva che doveva pentirsi e fare ammenda. E così, subito, i primi distinguo: non l'ho detto, anzi sì, ma da «tecnico». Mai detto, ma che scherziamo? Sarei «pazzo» ad averlo detto.

Dottor Grasso, senatore Grasso, non si preoccupi, lasci correre. Affermare, come fece Lei in quella trasmissione: «Devo dire che onestamente noi abbiamo avuto una legislazione che ci ha aiutato» non è una vergogna, è lealtà.

Si chiama, sempre come dice Lei, «onestà intellettuale».

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