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La Turchia condanna per terrorismo i giornalisti del Cumhuriyet

Il processo al giornale più antico del Paese si conclude con sentenze pesantissime

Protesta davanti agli uffici di Cumhuriyet dopo il blitz contro il quotidiano
Protesta davanti agli uffici di Cumhuriyet dopo il blitz contro il quotidiano

Murat Sabuncu, direttore: 7 anni e 6 mesi. Ahmet Şık, giornalista investigativo: 7 anni e 6 mesi. Aydın Engin, editorialista: 7 anni e 6 mesi. Musa Kart, vignettista: 3 anni e 9 mesi. Kadri Gürsel, editorialista: 2 anni e 6 mesi. Sono ben quattordici le sentenze di condanna da due a più di sette anni che un tribunale di Istanbul ha emesso nei confronti di giornalisti e dipendenti del Cumhuriyet, il più antico tra i quotidiani locali, con una storia vecchia quasi quanto quella della Turchia moderna e uno dei pochi ancora in grado di raccontare dalle sue colonne ciò che non trova spazio sui giornali filo-governativi.

Si conclude con condanne pesantissime e con solo tre assoluzioni il primo grado di una vicenda giudiziaria iniziata nell'ottobre del 2016, quando in un raid alla redazione del quotidiano furono eseguiti una serie di mandati d'arresto che avrebbero portato in tribunale persone accusate per il proprio giornalismo di avere dato spazio alla propaganda di organizzazioni come il Pkk, il partito armato curdo, come il Dhkpc di estrema sinistra o come quella di Fethullah Gülen, ritenuto da gran parte della Turchia l'ideatore del fallito tentativo di colpo di Stato del 2016. Gruppi di diverso orientamento politico e con diversi obiettivi, con in comune soltanto un posto nella lista turca delle sigle del terrorismo.

È proprio per terrorismo che giornalisti e vertici del Cumhuriyet sono stati condannati, con sentenze che sono considerate politicamente motivate e un attacco diretto a una stampa che ha dovuto già affrontare migliaia di arresti e la chiusura di televisioni e testate giornalistiche. "Lo stato di diritto è stato sacrificato in questo caso, progettato per mettere a tacere Cumhuriyet", ha detto con chiarezza Duygun Yarsuvat, avvocato difensore del presidente del consiglio di amministrazione del quotidiano Akın Atalay. Condannato a 7 anni, 3 mesi e 15 giorni, Atalay era l'unico degli accusati ancora in una cella, dove ha già trascorso più di 500 giorni in carcere preventivo. Rilasciato oggi, come i colleghi sarà sottoposto al controllo giudiziario fino al processo d'appello, con in più il divieto di lasciare la Turchia.

Il verdetto della magistratura arriva a meno di due mesi dalle elezioni anticipate annunciate pochi giorni fa e ha nell'accusa di avere sostenuto i gülenisti il suo tratto più paradossale. Tra quanti sono stati condannati oggi c'è anche il giornalista Ahmet Şık. Scarcerato a metà marzo in attesa della sentenza, è tra i volti più noti della stampa turca e in passato proprio delle collusioni tra il gruppo del predicatore e il partito di Erdogan aveva scritto in un libro, L'esercito dell'imam, che lo aveva portato in carcere per la ragione opposta a quella per cui oggi viene ritenuto colpevole. "Non disperate. Nella storia nessuna dittatura ha vinto la battaglia per mettere a tacere chi ha ragione", ha scritto su twitter poco dopo il verdetto, sfidando ancora una volta Erdoğan.

Soltanto tre le assoluzioni arrivate dalla corte di Istanbul, e lo stralcio dei casi dei giornalisti İlhan Tanır e dell'ex direttore di Cumhuriyet, Can Dündar, già condannato e che da tempo ha lasciato la Turchia per l'Europa. Quando la polizia, a ottobre del 2016, era entrata nella redazione del suo giornale, aveva espresso con un tweet il significato profondo di quegli attimi. "Danno l'assalto all'ultima fortezza", aveva scritto, dopo che già aveva rischiato la vita quando un uomo aveva aperto il fuoco contro di lui di fronte al tribunale di Istanbul.

Fu un articolo del maggio 2015 ad accendere i riflettori della stampa internazionale sul giornale, che il 29 di quel mese titolava "Queste sono le armi che Erdogan negava esistessero", mettendo in prima pagina uno scoop in cui si accusavano Ankara e i suoi servizi segreti per carichi che avevano attraversato la frontiera con la Siria, destinati a fazioni ostili a Bashar al-Assad. L'articolo non passò inosservato e il direttore Dündar finì a processo con Erdem Gül, il capo della redazione di Ankara del Cumhuriyet, per spionaggio e rivelazione di segreti di Stato. I due furono poi condannati.

Con una diffusione non più capillare, il quotidiano è rimasto negli anni il punto di riferimento per quella Turchia fedele agli ideali laici del "padre della patria" Mustafa Kemal Ataturk.

"Nessun verdetto potrà uccidere l'amore per il mio Paese e il mio mestiere", ha detto dopo la condanna il direttore Murat Sabuncu, mentre è da un articolo sul sito del Cumhuriyet, costretto a raccontare delle condanne dei suoi stessi giornalisti, che arriva un primo, lapidario commento collettivo: "Ve ne vergognerete di fronte alla Storia".

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