Controcultura

La Birmania di Orwell? È (quasi) ferma al "1984"

Negli anni '20 lo scrittore visse in questo Paese. Che oggi porta ancora le ferite della dittatura

La Birmania di Orwell? È (quasi) ferma al "1984"

Quando il Myanmar si chiamava ancora Birmania, fra intellettuali e uomini di lettere circolava una battuta. «George Orwell non ha scritto solo un romanzo sul nostro Paese, ma tre: una trilogia che comprende Giorni Birmani, La fattoria degli animali e 1984».

Il primo, racconta il periodo coloniale inglese, quello in cui il giovane Eric Arthur Blair (vero nome dello scrittore britannico) vestito con un'uniforme color kaki e stivali scintillanti, lavorò nell'amministrazione nella Birmania britannica come agente della polizia Imperiale. Il secondo invece racconterebbe «la via birmana al socialismo», ovvero il primo periodo della dittatura militare che prese il potere nel 1962. L'ultimo, 1984 dipingerebbe con visionaria accuratezza l'evoluzione del governo autoritario birmano sotto il generale Than Shwe. Nel lungo periodo della dittatura le opere dello scrittore inglese, proibite, circolavano in versioni pirata, libretti economici copie dei tascabili Penguin, pagine gonfie di umidità tropicale, sporchi e malridotti dal tanto sfogliare. Meno di dieci anni fa, quando la transizione verso la recente apertura non era pensabile, sulle bancarelle si trovavano edizioni fotocopiate ma con la copertina plastificata che a un prezzo accessibile rendevano disponibili i libri di Orwell. Tra i volumi piratati che si incontravano per le strade di Yangoon/Rangoon si trovavano anche copie clandestine di Finding George Orwell in Burma, della giornalista americana Emma Larkin, che adesso viene proposto in Italia da Add editore nella collana «Asia», con il titolo Sulle tracce di George Orwell in Birmania (pagg. 288, euro 18, traduzione di Piernicola D'Ortona e Margherita Emo).

Un libro particolare, qualcosa che si colloca in un'area compresa fra racconto di viaggio, saggio storico e biografia letteraria: un testo che costituisce una preziosa testimonianza di una dittatura autoritaria, raccontata a tratti con lo stile dello stesso Orwell. Saltando di continuo tra gli anni Venti in cui Orwell visse in Birmania - prese servizio nel 1922 e abbandonò la polizia di Sua Maestà nel 1928 - e gli anni in cui la scrittrice compie le sue ricerche sul terreno (la prima edizione è del 2004). Emma Larkin viaggia tra Yangoon, Mandalay, il delta del fiume Irrawaddy, Moulmein (dove Orwell era di stanza all'inizio) e Katha, l'ultima cittadina dove fu assegnato e dove ambientò Giorni Birmani. Luoghi che da allora non sono cambiati di una virgola. «A parte il fatto che ovviamente non esiste più il governo coloniale, le città dove lavorò non sono cambiate molto ed è questo che mi ha spinto ad andare in Birmania la prima volta: il Paese è stato sotto il governo militare dal 1962 e da allora completamente tagliato fuori dal resto del mondo. Così non ha subito il frenetico sviluppo edilizio tipico del Sudest asiatico, come è successo per esempio per la vicina Thailandia» spiega la scrittrice.

«Questo aver preservato i luoghi come erano è, in un certo senso, l'unico merito della dittatura, ammesso che sia un merito. Però ci permette di comprendere meglio Orwell, e immedesimarci nel suo soggiorno birmano, perché quel che racconta in Giorni Birmani è quel che ancora si può vedere oggi. Quando visiti Moulmein, ti accorgi che ha conservato quell'atmosfera di vecchio mondo. Questo è ancor più evidente a Katha, nella regione dell'Upper Burma: una località davvero remota, posta alla fine della ferrovia» racconta. Luoghi fino a pochi anni fa difficili da raggiungere, specie per un giornalista occidentale. La Larkin, che pubblica sotto pseudonimo, per scrivere il suo libro ha viaggiato in incognito, imparando a indossare in pubblico la stessa maschera che i birmani sono stati costretti a indossare negli anni della dittatura. «Per poter rimanere in Birmania e fare le mie ricerche ho dovuto mimetizzarmi, fingendo di non essere lì a fare quel che in effetti stavo facendo, ovvero scrivere un libro per raccontare come si vive sotto una dittatura militare. Ho imparato così a mantenere i segreti, ho imparato a prendere le misure alle persone, calcolando quanto mi potessi fidare di loro. Utilizzato livelli differenti di verità e menzogna, che condividevo con le persone in base a quando mi potessi fidare di loro. È stato complicato e stancante. Ma necessario per potersi muovere sotto una dittatura, specie se stai facendo qualcosa che è meglio non fare» spiega.

Una situazione che quindici anni dopo, nonostante formalmente la dittatura abbia passato la mano, è in parte ancora la stessa. «Oggi è molto più semplice, ma non è ancora facile come altrove. Oggi i giornalisti stranieri sono ammessi, e non devo più ricorrere ai sotterfugi di una volta, ma la mentalità e la burocrazia figlie di una dittatura sono ancora vive e vegete». Anche perché 50 anni di regime militare non si cancellano in un attimo. «Non c'è un modo veloce di dimenticare una dittatura che controllava ogni aspetto della vita politica, economica, sociale e culturale del Paese. Tutto in Birmania era strettamente censurato e sorvegliato. La maggioranza dei birmani, a parte quelli veramente anziani, o molto molto giovani, non hanno altra esperienza che la dittatura. L'eredità di quel periodo durerà anni: ci vorranno generazioni e generazioni per disfarsi dal suo impatto negativo, sia socialmente che psicologicamente». Una società, quella birmana, rigidamente controllata e assoggettata alle follie del potere, che assomigliava tremendamente a quella raccontata da Orwell in 1984 e nella Fattoria degli animali. «Credo ci sia stata una interessante, inspiegabile, simmetria tra i suoi libri e la storia birmana per un lungo periodo di tempo» concorda Larkin.

«Anche se è innegabile che ci fosse qualcosa nella Birmania ai tempi di Orwell - nello specifico nella sua esperienza di poliziotto e nella sua empatia e consapevolezza verso gli oppressi - che ha contribuito a forgiare il fine narratore politico che è poi diventato» aggiunge. «Ma non credo che possiamo limitarci ai concetti orwelliani, quando vogliamo comprendere quel che è successo in Birmania negli anni della dittatura» specifica. Anche perché lo scrittore non aveva previsto quel che poi sarebbe successo: le dittature a un certo punto finiscono. E, quando finiscono, la letteratura, paziente e immortale, si prende la rivincita. «In questo momento i libri di Orwell sono liberamente disponibili in Myanmar.

Anzi, nel 2012 sono state pubblicate le traduzioni in birmano di 1984 e Giorni Birmani, che hanno anche vinto i premi letterari più importanti del Paese».

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